Apple è al centro di una nuova class action, un’azione legale dalle motivazioni davvero singolari: secondo un gruppo di arrabbiati clienti, l’azienda raccoglierebbe indebitamente i codici postali – i famosi “zip codes” corrispondenti ai nostri CAP – per rivendere a terzi informazioni personali. È quanto accade in Massachusetts, perché la pratica ricadrebbe nell’Unfair Trade Practices Act.
A quanto pare, ogni volta che negli Stati Uniti si effettua un’acquisto con carta di credito, Apple richiede l’inserimento delle proprie informazioni, incluso il codice postale. Un fatto abbastanza normale da questa parte dell’oceano, a quanto pare illegale in Massachusetts dove i clienti non posso essere obbligati a fornire dati identificabili durante un acquisto. Le società di credito spiegano come certi dati personali servano a verificare la correttezza della transazione, ma i tre accusanti – Adam Christensen, Jeffrey Scolnick e William Farrell – ritengono che Cupertino rivenda invece gli zip codes a scopo promozionale.
Stando a quanto dichiarato, i tre accusanti avrebbero ricevuto del materiale pubblicitario non voluto, che considerano sia direttamente collegato agli acquisti effettuati da Apple, sia online che fisicamente negli Apple Store. Per questo motivo, richiedono che ogni singola transazione venga ricompensata con 75 dollari ciascuna, più una cifra ancora da definire come compensazione dell’incredibile stress a cui la pratica li avrebbe sottoposti. E la battaglia legale promette di allargarsi presto a molti altri clienti arrabbiati, desiderosi di proteggere il loro tanto prezioso codice postale e ovviamente la loro privacy.
Apple non ha risposto ufficialmente alle accuse, ma la possibilità che la causa davvero vada in porto sono remote, a meno che gli oppositori non dimostrino con certezza che Cupertino rivenda informazioni personali a terzi e che il materiale promozionale ricevuto sia conseguenza diretta di acquisti negli Apple Store. In caso contrario, la richiesta del codice postale è del tutto legittima perché voluta dagli istituti di credito per verificare l’autenticità della carta e della stessa transazione. Non stupisce, però, che una simile class action abbia trovato terreno fertile negli Stati Uniti, dove l’ordinamento lascia abbondante spazio per imbastire contenziosi sui più curiosi temi, anche quelli che in realtà non dovrebbero essere elevati all’attenzione giuridica.