La commissione per la concorrenza, di stanza a Bruxelles, ha aperto una indagine ufficiale sul trattamento fiscale di Apple in Irlanda. L’accusa è di concorrenza sleale. Quando ancora mancava l’ufficialità, il primo ministro irlandese, Enda Kenny, si era rifiutata di commentare, ma ormai era chiaro che le premesse per una iniziativa ufficiale erano in campo da tempo: l’azienda di Cupertino, come in pratica anche tutte le altre web company, sfrutta una sofisticata combinazione di sede fiscale e adesione alle norme dell’isola per abbassare notevolmente l’imponibile, al punto di renderlo diverse migliaia di volte inferiore al fatturato.
Per quale motivo, allora, se tutte le aziende americane sfruttano il double-irish, sul banco d’accusa c’è proprio Apple? L’azienda che fu di Steve Jobs è considerata – parole del senatore americano Carl Levin – «il santo Graal dell’evasione fiscale». Termine molto duro, ma non bisogna dimenticare che negli Stati Uniti il dibattito attorno all’imposizione fiscale è più avanzato rispetto al vecchio continente: Apple ha già da tempo raggiunto in quel paese un accordo per il rientro dei capitali dall’estero – compresa l’Irlanda – quindi accettando implicitamente l’accusa di averli sottratti al fisco.
Discorso diverso per l’Europa, dove non si è ancora riusciti a trovare una soluzione condivisa. Ogni stato membro cerca una sua via: dal revanscismo tipicamente francese, alle modalità autarchiche all’italiana, con la celeberrima webtax, fino alla rigidità teutonica, si è assistito in questi anni a una galleria di iniziative e propositi troppo individuali, troppo isolati per essere efficaci. Da qui l’intenzione, più volte esplicitata dalla Commissione Europea, di mettervi mano una volta per tutte.
Commission scrutinises aspects of corporate tax of Apple in Ireland, Starbucks in the NL, Fiat Finance & Trade in Lux http://t.co/hdgrLIPSyX
— Antoine Colombani (@colombanibxl) June 11, 2014
L’attesa finisce oggi con il comunicato della Commissione Europea per la concorrenza, che spiega le ragioni di questo iter che farà molto discutere. Cosa prevede questa indagine? Secondo RTE, la prima fonte di questa indiscrezione appena confermata, la Commissione ha avviato un anno fa una paziente raccolta di informazioni sul regime fiscale per le multinazionali in un certo numero di paesi, tra cui l’Irlanda.
Ora l’indagine dovrà stabilire se qualcuno ha violato le norme comunitarie. Attenzione, quindi: non se Apple ha tratto vantaggio dal profit shifting consentito dalle attuali leggi (sarebbe contradditorio: l’Europa indagherebbe di fatto sé stessa per non aver pensato a questo escamotage possibile da parte delle imprese) bensì se ci sono gli estremi per individuare degli aiuti che di fatto rappresentino delle pratiche sleali per la concorrenza, anche se non è chiaro quali paesi offrano condizioni fiscali favorevoli alle imprese o industrie, e se è davvero una questione che competa al garante della concorrenza. Tra l’altro, nell’indagine sono include altre due aziende notissime: la Starbucks e la FIAT.
Così viene spiegato dalla Commissione e dal vice presidente Joaquin Almunia:
Nel contesto attuale di ristrettezze dei bilanci pubblici, è particolarmente importante che le grandi multinazionali paghino la loro giusta quota di tasse. Secondo le norme dell’Unione europea sugli aiuti di Stato, le autorità nazionali non possono adottare misure che consentono alle aziende di pagare meno tasse di quanto dovrebbero, quando le norme fiscali dello Stato membro sono state applicate in modo equo e non discriminatorio.
Il trattato al centro della questione
La Commissione è persuasa che il Trattato TFEU ponga all’articolo 107 una questione che giustifica l’indagine: i regimi di vantaggio fiscale sono accettati nelle diverse nazioni solo finché non violano in linea di principio la libera concorrenza. Ci vorrebbe un fiscalista per comprenderlo appieno, ma si può riassumere citando due termini (tax rulling e transfer pricing, che molti hanno imparato a conoscere a proposito della webtax).
Il tax ruling serve a stabilire il prezzo concordato per il trasferimento dei prodotti nelle transazioni commerciali. Il transfer pricing susseguente influenza la destinazione dell’utile imponibile tra le filiali di un gruppo che si trova in diversi paesi (ed è giusto, altrimenti sarebbe il caos), però finché le autorità fiscali, nell’accettare il calcolo della base imponibile proposto da una società, insistono su una remunerazione di una filiale o una succursale a condizioni di mercato, che riflettono normali condizioni di concorrenza, ciò esclude la presenza di aiuti di Stato.
Quando invece, secondo gli esperti della Commissione alla Concorrenza, il calcolo non si basa sulle retribuzioni a condizioni di mercato ciò potrebbe comportare un trattamento più favorevole della società rispetto al trattamento di altri contribuenti uguali.
La Commissione osserva che, sebbene le norme prezzi di trasferimento siano state inasprite nel corso degli anni, l’amministrazione fiscale ha avuto un notevole grado di discrezionalità. La Commissione teme che tale potere sia stato utilizzato nel caso di Apple per concedere un vantaggio selettivo a tale società, riducendo l’onere fiscale al di sotto del livello che dovrebbe pagare sulla base di una corretta applicazione delle norme fiscali. La Commissione osserva tuttavia che il numero delle sentenze fiscali emessi in Irlanda in tema di transfer pricing regime è limitato.
In altre parole, l’Europa parla a suocera (Apple) perché nuora (Irlanda) intenda: voi fate vantaggi fiscali per fare attrattiva d’impresa, ma se alimenta la concorrenza sleale allora interveniamo noi, legittimamente. E ci sono anche i casi di Lussemburgo e Paesi bassi, coinvolti per altri meccanismi. Il Lussemburgo, ad esempio, è già stato multato per non aver fornito adeguata informazione sulla presenza di FIAT in quel paese.