La lotta alla pirateria da parte di Apple passa anche e soprattutto dalla Cina: alcuni documenti segreti rivelati negli ultimi giorni grazie a WikiLeaks svelano infatti importanti dettagli sulla strategia messa in atto dalla società di Cupertino sul territorio cinese per impedire il proliferare di dispositivi contraffatti con su il marchio della mela morsicata.
I falsi Apple Store scoperti nelle ultime settimane, i quali risultano ad oggi ancora aperti, seppur con un altro nome, rappresentano solo la punta dell’iceberg relativo alla pirateria in Cina, ove Apple sta combattendo una vera e propria guerra, partita nel 2008 con l’istituzione di un apposito team di sicurezza con a capo l’ex agente dell’FBI John Theriault: obiettivo di tale team è lo smantellamento della catena di produzione dalla quale giungono sul mercato dispositivi all’apparenza identici a quelli prodotti da Apple, ma in realtà figli di attività illegali.
Secondo quanto reso noto dai documenti in questione, la politica di Apple per arginare il problema della pirateria in Cina sarebbe fortemente basata sull’utilizzo di azioni forzate, spesso organizzate in sordina per non dare nell’occhio: i primi a ricevere le visite degli agenti sono in genere i venditori ambulanti e i negozi, per passare poi alle fabbriche ove spesso sono stati individuati componenti e dispositivi ufficiali rubati per crearne dei cloni, ed infine si giunge alla vendita online, con il tentativo di individuare i responsabili sulle cui spalle poggia il mercato dei dispositivi Apple contraffatti.
In base alle indicazioni giunte, poi, la vita per Apple in Cina sarebbe stata resa ancora più difficile dall’opposizione da parte del Governo locale, il quale non sembra aver fornito al gruppo di Cupertino lo stesso supporto concesso alle operazioni organizzate negli ultimi anni per debellare il traffico di stupefacenti e prodotti farmaceutici contraffatti. In alcune occasioni la Cina si sarebbe anche rifiutata di eseguire raid in alcuni centri commerciali, ritenendo il tutto inopportuno.