Le microtransazioni in-app, o in-game nel caso dei videogiochi, rappresentano una pratica ormai comune per gran parte del software distribuito in ambito mobile. Gli sviluppatori mettono a disposizione le loro creazioni in download gratuito, offrendo poi la possibilità di acquistare contenuti aggiuntivi attraverso una forma di pagamento che avviene direttamente all’interno del software. Negli Stati Uniti qualche utente ne ha abusato, facendo sì che Apple venisse trascinata in una nuova causa legale.
La notizia, riportata nei giorni scorsi sulle pagine della BBC, riguarda la denuncia avanzata da alcuni genitori nei confronti della mela morsicata, dopo che i loro figli hanno speso denaro a loro insaputa interagendo con alcuni titoli presenti sull’App Store. L’avvocato Garen Meguerian sostiene che è troppo semplice per i bambini accedere ai mezzi di pagamento senza autorizzazione.
Apple ha provato inizialmente a difendersi, dichiarando di aver inserito di recente una funzionalità che permette di disabilitare le microtransizioni in-app, ma il giudice ha deciso che la questione dovrà comunque essere discussa nelle aule di tribunale. La diatriba legale aveva preso il via nell’aprile scorso, quando venne portato alla luce che il titolo free-to-play Smurf’s Village offre la possibilità di acquistare bonus per un valore massimo di 69,99 sterline (circa 85 euro) con un singolo pagamento. Anche se i giocatori possono effettuare progressi nel gameplay senza mettere mano al portafogli, la struttura è pensata appositamente per spingerli a spendere.
Una dinamica che può risultare disastrosa quando coinvolge i più piccoli, come nel caso di Niamh Bolton, madre britannica la cui figlia di dieci anni è riuscita a dilapidare 1.500 sterline (oltre 1.800 euro) in sole due ore, giocando con Tap Pet Hotel.