È il momento di un nuovo giro di vite su App Store, ma questa volta la censura non si abbatte in modo opinabile sui contenuti, bensì su una pratica che potrebbe essere lesiva della privacy dell’utente. La società di Cupertino ha infatti deciso di fermare quelle app che tracciano il comportamento del consumatore, senza però ricorrere a nessun mezzo pubblicitario. Perché lo fanno? O, al contrario, si tratta di una mossa per spingere iAD?
Le applicazioni che mostrano spot pubblicitari solitamente tracciano l’utente in base all’IDFA, ovvero l’Identifier For Advertisers. Questo codice, che viene generato all’installazione di un app, permette di gestire il mercato pubblicitario, a seconda di quanti IDFA un dato software abbia dimostrato di aver raggiunto: in altre parole, più sono gli utenti, maggiori sono le possibilità di un investimento promozionale. Alcuni developer, tuttavia, avrebbero iniziato a sfruttare gli IDFA per usi diversi rispetto a quelli legati all’advertising, forse per trarre in inganno i rivenditori o per monitorare immotivatamente le abitudini del cliente. Nelle nuove linee guida agli sviluppatori di Apple, però, alla norma 3.31 si apprende come la società garantisca l’utilizzo di questo sistema solo ed esclusivamente a scopo pubblicitario.
È nata così una campagna a tappeto per stanare tutti gli usi non consentiti dell’IDFA, anche se le motivazioni potrebbero andare ben oltre al rispetto dei regolamenti e alla protezione della privacy dell’utente. Secondo alcuni si tratterebbe di una mossa barbina per rendere iAd, il network pubblicitario di Apple, più appetibile agli occhi degli investitori. Secondo la società Tapstream, invece, con questo escamotage la Mela starebbe tentando di dirigere il mercato dal conteggio generalizzato degli utenti – un’installazione pari a un utilizzatore – a un sistema che tenga conto di quanto l’app sia in realtà sfruttata. In altre parole, è quel che è successo lo scorso anno con gli UDID: Cupertino ha iniziato a rifiutarli e sono stati rapidamente sostituiti dagli IFDA e, ora, sarebbe giunto il momento di scansarli con qualcosa di nuovo. E gli advertiser tremano, perché un mercato Cost Per Install (CPI) – ovvero dove si contano le installazioni – è molto più redditizio di un Cost Per Click (CPC) – dove a essere presi in considerazione sono solo gli utenti attivi. E se, invece, alla base di questa tornata di rifiuti vi fosse davvero la preoccupazione di Apple per i suoi consumatori? D’altronde, a livello teorico, perché mai dovrebbero tracciare l’utente senza fornire un servizio, pubblicitario o meno che sia, in cambio?