Si conclude a favore di Apple la causa sulle supposte pratiche anticoncorrenziali del gruppo nella metà degli anni 2000, in merito alla gestione dei DRM di iTunes Store e iPod. I giudici non hanno rinvenuto responsabilità per il colosso californiano, che non dovrà corrispondere così 1 miliardo di dollari previsto dall’accusa. Fondamentale per il caso le prove sull’aggiornamento di iTunes 7.0, considerato genuino dalla corte.
La querelle ha radici lontana ed è sfociata in una class action: secondo l’accusa, dal 2006 al 2009 Apple avrebbe tentato di escludere ogni concorrente dalla fruizione su iTunes e iPod, introducendo dei sistemi illegittimi per escludere contenuti acquistati sugli store rivali. In particolare, oggetto di contestazione è stato iTunes 7.0, un aggiornamento che avrebbe reso impossibile utilizzare Harmony di RealNetworks, una tecnologia per usufruire di brani comprati dall’omonimo store anche sui dispositivi targati mela morsicata.
Il dibattimento è stato davvero a colpi incrociati, tanto che è stata presa in considerazione una testimonianza video di Steve Jobs del 2011, rilasciata pochi mesi prima della sua dipartita. Apple si è difesa sostenendo come l’aggiornamento in questione fosse assolutamente legittimo, poiché apportava nuove funzioni per il pubblico, e l’eventuale esclusione di servizi di terze parti solo una misura per garantire la sicurezza dell’utente e dei dispositivi da contenuti potenzialmente dannosi. Un proprio ambiente digitale, in altre parole, non tanto dissimile da quello elaborato dai leader del settore dei videogiochi, dove i contenuti pensati per una piattaforma non sono compatibili con quella di un rivale.
Su questo fronte, ovvero quello dell’upgrade contestato, la giuria ha dato ragione al gruppo di Cupertino: iTunes 7.0 è stato un aggiornamento genuino a tutti gli effetti, non un mezzo per escludere deliberatamente la concorrenza da iPod e prodotti correlati. Anche sul versante dei DRM prescelti, poi abbandonati nel 2009, la Mela non è stata giudicata responsabile di alcuna violazione: l’utilizzo di sistemi anticopia per la gestione delle licenze è stata una richiesta specifica dei detentori dei diritti, i quali hanno concesso i loro cataloghi a patto che le società coinvolte fornissero adeguata protezione. Fondamentale, almeno secondo voci di corridoio, sarebbe stata anche la défaillance dell’accusa, che ha perso durante il processo due testimoni chiave, poiché gli acquisti musicali contestati sarebbero avvenuti al di fuori del lasso di tempo contestato.
Come già ricordato, l’accusa aveva richiesto il pagamento di 350 milioni di dollari, aumentati a 1 miliardo secondo le leggi sull’antitrust. Con la vittoria odierna, Apple non dovrà corrispondere alcuna cifra.