La dialettica label-artisti è stata una costante fondamentale nella storia della musica popolare del secolo scorso. Come non ricordarsi delle imprese dei Sex Pistols che riuscirono a farsi stracciare contratti su contratti da major inorridite dai loro comportamenti, intascando cifre da capogiro da ognuna di esse? E come non citare i contemporanei Clash che, con la loro “Complete Control”, lanciarono uno dei primi atti di accusa contro l’influenza dei manager industriali nelle decisioni artistiche?
Recentemente un terzo incomodo si è, però, intromesso in questo storico rapporto: il mondo del P2P ha creato, più o meno legalmente, un modo di fruire la musica che scavalca la mediazione delle case discografiche.
Non sono di certo mancati gli artisti che sono insorti contro la pirateria. Tra i primi ricordiamo i Metallica e la loro polemica anti Napster; più recentemente è salita alla ribalta Lily Allen.
Ora TorrentFreak fa però emergere un dato, certo non nuovissimo, che sembra cambiare le carte in tavola: le case discografiche sono le sole a pagare la crisi innescata dal P2P, mentre gli artisti hanno visto incrementare le loro entrate, grazie all’aumento dell’affluenza ai concerti.
Dunque nella ghiotta torta del mercato della musica, l’unica fetta piccola è quella delle grandi etichette e il controllo, di cui parlavano i Clash, sta forse tornando in mano alle band e ai fan.
Se questi dati venissero confermati, saremmo di fronte ad un ulteriore indizio dell’obsolescenza delle major, almeno nella loro forma attuale, e del concetto di copyright.
A confermare ciò, in un altro articolo, sempre Torrentfreak svela come le case cinematografiche, al contrario di quelle discografiche, stiano vivendo un periodo d’oro. E, paradossalmente, sono proprio i film più piratati quelli che contemporaneamente hanno più successo.