Cosa abbia a che vedere Internet con l’aggressione al premier Silvio Berlusconi sembra essere cosa poco comprensibile ai più se non attraverso congetture difficilmente argomentabili. Tuttavia, a distanza di tre giorni dai fatti di Milano, Internet sembra essere al centro del tiro incrociato di quanti vedono nella Rete una polveriera minacciosa sulla quale sia necessario intervenire con leggi ad hoc. Facebook, soprattutto, è balzato al centro delle cronache nazionali per una serie di gruppi contestati contro i quali il social network ha ora preso provvedimenti diramando una nota ufficiale in accompagnamento alle chiusure già sancite.
«Su Facebook non è permesso pubblicare contenuti minacciosi, promuovere o incoraggiare atti violenti, contro chiunque e in qualunque luogo. Provvederemo a rimuovere qualunque contenuto di questo tenore, per cui ci sia richiesto un intervento. Su questo tema, siamo anche in contatto con le autorità italiane. Il fatto che alcuni tipi di commenti e contenuti possano infastidire – per esempio critiche alle politiche del governo e alle ideologie politiche – non è una ragione sufficiente per rimuovere una discussione. Questi dibattiti online non sono altro che un riflesso di quello che avviene offline, dove le conversazioni hanno luogo liberamente nelle case delle persone, via email o al telefono». Continua ancora la comunicazione diramata: «Abbiamo un team dedicato in Europa che parla italiano e che sta esaminando con estrema attenzione tutte le richieste di intervento con contenuti relativi al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Risponderemo con tempestività, eventualmente cancellando ogni tipo di contenuto che minacci direttamente o supporti atti violenti contro persone. Desideriamo che Facebook sia un luogo dove le persone possano discutere apertamente ed esprimere le proprie opinioni, rispettando nel contempo i diritti e i sentimenti degli altri Con più di 350 milioni di utenti nel mondo che usano Facebook come luogo per discutere e condividere tutto ciò che è ritenuto importante, a volte accade che qualcuno prenda posizione in merito ad argomenti che altri trovano controversi, sbagliati o anche offensivi».
Nelle stesse ore (anticipando quindi le proprie indicazioni per il Consiglio dei Ministri di domani) Roberto Maroni ha precisato le proprie volontà. Le dichiarazioni del Ministro non configurano alcun passo indietro rispetto ai toni duri usati in precedenza alla Camera, ma allungano i tempi del dibattito: «La proposta che domani discuteremo in consiglio dei ministri non prevede alcuna legge speciale né reato specifico e non ci sarà alcun intervento censorio del governo. Stiamo pensando a strumenti che permettano alla magistratura di intervenire per decidere se sul web si compie un reato e per rimuovere gli effetti del reato. Non ho obiezioni a che si proceda con un disegno di legge e non con un decreto per consentire al Parlamento di discutere». La via scelta è importante e deresponsabilizza in parte il Ministro dell’Interno, poiché apre al dialogo in vista di provvedimenti che si preannunciano come estremamente delicati.
L’ultima importante dichiarazione registrata in giornata è quella di Franco Bernabé, CEO Telecom Italia e pertanto in una posizione cruciale nel momento in cui il Governo deciderà di intervenire con strumenti appositi per l’identificazione di reati commessi tramite connessione al Web: «Costringere Internet dentro un vincolo di tipo giuridico penso sia una contraddizione in termini, significa non sapere cosa è Internet e cosa è la sua evoluzione […] È un’operazione destinata a durare pochissimo nel tempo. Internet è il regno della libertà e non della costrizione». E chiosa con la più chiara delle prese di posizione: «abbiamo una classe politica che non ha capito la rivoluzione di Internet».