I numeri sono ciò che trasforma una sensazione in realtà misurata e tangibile. Sulla scia degli ultimi numeri del Rapporto Assinform relativo al primo semestre del 2009, però, la realtà appare in tutta la sua evidenza. Così descrive la situazione il presidente ddell’associazione, Paolo Angelucci: «La crisi che ha investito l’economia alla fine del 2007, si sta ormai rovesciando sull’Information Technology italiana in termini molto più pesanti e veloci del previsto. In sei mesi la domanda di tecnologie informatiche è diminuita del 9%, un risultato che rappresenta la peggiore performance semestrale dal 1991 a oggi».
Continua Angelucci, approfondendo l’analisi: «L’arretramento riguarda tutti i comparti dall’hardware, al software ai servizi e tutti gli utilizzatori, dalle imprese, alla Pa, alle famiglie. Le nostre stime sull’occupazione indicano che, con questo trend, a fine anno saranno 20.000 i posti di lavoro persi. Il quadro è allarmante: fotografa un Paese che sembra stia decisamente rinunciando a investire in innovazione e, di fronte alla crisi, si difende ripiegando su stesso. Ma così facendo stiamo anche allontanando i tempi della ripresa e restringendo il ventaglio delle possibilità di crescita della nostra economia».
La teoria suggerisce investimenti nell’IT in quanto veicolo ed accelerante per la ripresa economica. Al contrario, la crisi sembra aver pesato in modo eccessivo sul comparto andando a minare non solo le basi della possibile ripresa, ma riverberando i risultati anche al di fuori del solo contesto economico: «Dobbiamo essere consapevoli che dietro questi dati vi è la crisi di un settore come l’IT, che con le sue 97.000 imprese e 390.000 addetti, costituisce una delle più rilevanti realtà industriali del Paese e uno dei primi settori dell’Information Technology in Europa. Quarto per produzione di valore aggiunto, pari al 2,8% del Pil, è il settore economico che, in Italia, vanta il primato di occupati laureati: pari al 30% dei suoi addetti, presentando il più elevato rapporto capitale umano per unità prodotto. Questi numeri rivelano che esiste un made in Italy tecnologico, con un rilevante peso economico e culturale nel Paese, al quale, tuttavia, non corrisponde altrettanto peso politico. Ma l’IT che licenzia significa perdita di cervelli e di alte professionalità; il taglio di spese e investimenti in tecnologie informatiche significa arretramento nel processo di modernizzazione, abbassamento delle capacità competitive e di reazione dell’intera economia. Perciò, considerata l’estrema pervasività delle tecnologie informatiche, l’impatto della crisi che investe l’Information Technology va valutato ben al di là dei perimetri del settore, come un impoverimento qualitativo dell’intero Paese».
Informatica (-9%), telecomunicazioni (-2.5%), hardware (sostanzialmente stabile dopo anni di crescita costante): la caduta ha dimensioni differenti, ma è spalmata sull’intero comparto. Risulta essere in crescita soltanto il numero degli utenti connessi alla banda larga, ma anche sotto questo aspetto tutto si muove al di sotto della media europea: sono 12 milioni le utenze abbonate (soltanto il 3% tramite fibra ottica), un numero che posiziona comunque l’Italia in fondo alle classifiche continentali sulla diffusione del broadband.
La proposta Assinform verte sull’incentivo al’investimento, al fine di salvare il salvabile nel settore evitando di peggiorare una situazione che emerge in tutta la propria gravità. In particolare l’associazione auspica che il comparto non perda i valori intellettuali raccolti nel tempo tramite la formazione delle risorse umane: «riteniamo essenziale il ruolo delle banche, alle quali chiediamo di rafforzare il credito all’innovazione. […] Dalla nostra indagine congiunturale è emerso che è aumentato del 25% il nucleo di aziende che hanno previsto nei loro budget lo sviluppo di nuovi progetti IT. Queste imprese non vanno lasciate sole, perché rappresentano un motore di spinta per la ripresa. Per quanto riguarda le altre proposte, rivolte alle istituzioni, le prime due sono a costo zero per le finanze pubbliche. Si tratta da una parte di imprimere una forte accelerazione della spesa pubblica già stanziata dalle amministrazioni, sia sotto forma di progetti, che appalti e gare; dall’altra di puntare a un miglior utilizzo delle risorse già disponibili per la formazione, rivedendo e semplificando le regole con particolare riguardo alla formazione degli inoccupati. Questi interventi consentirebbero alle imprese IT di far fronte alla loro più grave preoccupazione: conservare il proprio capitale umano, che rappresenta il maggior patrimonio del settore e la cui preparazione richiede notevole impegno di tempo e costi».