«Nel 2009, annus horribilis per il mercato mondiale dell’Ict, l’Italia ha approfondito il ritardo tecnologico con gli altri paesi registrando una contrazione dell’IT tra le più consistenti, pari a -8,1%, a fronte di una decrescita media mondiale del settore di – 5,4%. Tra i paesi avanzati, il nostro è quello che, nel 2009, ha più aumentato il gap tra PIL (-5%) e investimenti IT (-8,1%), rivelando un paese ripiegato su se stesso che, salvo eccezioni, sembra aver perso coraggio, che ha paura di investire e rischiare». Parole pesanti, soprattutto perchè prive di peso politico e provenienti da una associazione legata a Confindustria. Parole che tuonano come una bocciatura e che impongono riflessioni e reazioni immediate.
Approfondisce Paolo Angelucci, Presidente Assinform: «Il disinvestimento italiano in Information Technology, pari a 1.657 miliardi di euro, è un segnale allarmante di arretramento del Paese verso assetti strutturali di basso profilo competitivo, che rischiano di condannarci alla stagnazione. Le istituzioni pubbliche, le imprese, appaiono intrappolate da un approccio dal respiro troppo corto, che non riesce a superare l’orizzonte contingente dell’emergenza. Sono, infatti, arretrati tutti i parametri del mercato: hardware -14,8%, software -3,6%, servizi -6,5%; grandi imprese -10,3%, medie -7,3%, piccole -8,0%. L’innovazione, strumento indispensabile per lo sviluppo, sembra sparita dal vocabolario della politica economica e delle misure anticrisi. Con queste premesse anche il 2010 sarà un anno molto difficile. Le nostre stime indicano per il settore un trend negativo di -3,1%, che allargherà la forbice con il Pil (1%)».
L’intervento di Angelucci giunge in presentazione del Rapporto Assinform 2010, rapporto che verrà presentato in seguito nel dettaglio delle varie analisi. Ad ora l’associazione si ferma al giudizio sommario e ad una valutazione che sembra puntare il dito soprattutto contro la politica economica del nostro paese: «Sebbene l’IT con 400.000 addetti e 97.000 imprese, sia il quarto settore industriale del paese, non solo non riscuote dalla politica la giusta attenzione, ma il suo impatto economico e occupazionale, nonché le sue potenzialità nei processi di sviluppo del Paese sono largamente sottovalutati dalle istituzioni. Eppure, per uscire dalla crisi e aprire la strada della crescita, l’Italia non ha scelta, deve riprendere a investire in Information Technology. Per questo occorre un’azione che sia un segnale chiaro di inversione di tendenza, anticipatore di una politica strategica per l’innovazione e lo sviluppo. Va in questo senso la nostra proposta di rottamazione del software sia come misura di incentivo all’innovazione per il Made in Italy, sia come sostegno all’occupazione del settore IT. I software applicativi, infatti, sono fattori cruciali per la modernizzazione delle imprese, dell’economia, della PA e costituiscono il cuore del valore aggiunto prodotto dal settore in Italia. Nella produzione di software, l’IT italiana concentra la maggior parte dell’occupazione qualificata che, già provata dalla perdita di 16.000 posti di lavoro 2009, se i dati di previsione verranno confermati, rischia nel 2010 di lasciare a casa altri 8.000 addetti».
Angelucci scende inoltre in difesa delle professionalità del settore, stigmatizzando la tendenza al “downpricing” del mercato italiano: «La tendenza al ribasso delle tariffe professionali è un’anomalia tutta italiana, che mortifica gli investimenti in capitale umano delle imprese IT, che rappresenta ben il 26% dei ricavi aziendali, mentre penalizza i clienti e la qualità dei loro progetti e servizi. C’è il rischio di impoverimento professionale dell’informatica italiana». Impoverito il mercato, occorre tutelare almeno le professionalità. Perchè è da qui che l’Italia dovrà tentare di ripartire.