Di diritto all’oblio molto si è detto e molto si discuterà ancora, poiché il problema ha assunto ormai una dimensione strutturale entrando di fatto nei meccanismi di indicizzazione (e de-indicizzazione) di Google e altri motori di ricerca. Quel che però non è ancora sufficientemente noto e trasparente è invece il meccanismo di valutazione che si frappone tra la richiesta degli utenti e la decisione di eliminare un link dal motore di ricerca oggetto della richiesta stessa.
Ad offrire un elemento di maggior compressione sulle dinamiche di esame delle richieste è ora il Garante per la Protezione dei Dati Personali, dal cui ufficio stampa trapelano alcuni dettagli che lasciano meglio intendere quale sia il meccanismo messo in atto dalla sentenza della Corte Europea che ha ribaltato il banco sulla questione.
Sulla base di quanto spiegato dal Garante, trapela in modo particolare una sorta di network dei garanti di tutta Europa, i quali avrebbero concordato una sorta di piattaforma collaborativa per rendere quanto più omologo e coordinato lo sforzo di comprensione e disamina. Il ruolo dei garanti è subordinato a quello dei motori di ricerca: sebbene l’obbligo primario di analisi e rimozione ricada su Google e simili, ogni utente ha la possibilità di appellarsi alle decisioni di un’Authority nel caso in cui il motore non abbia ritenuto il link meritevole di oblio. I garanti di tutta Europa, al fine di migliorare il processo e con la possibile volontà di alienare da ogni soggettività possibile i criteri decisionali, hanno così deciso di cooperare: in attesa e con l’obiettivo di definire parametri assoluti su cui basare ogni analisi, il processo prende il via con una sorta di stratificazione empirica delle decisioni prese volta per volta, creando così un quadro generale costellato di valutazioni da cui dovranno scaturire direttrici generali universalmente valide.
Le Autorità hanno concordato di costituire una rete di “punti di contatto” per scambiare rapidamente informazioni, e creare una tool box (una “scatola degli attrezzi”) di criteri comuni per garantire un approccio coordinato nella gestione dei ricorsi e reclami presentati da utenti non soddisfatti della risposta fornita dai motori di ricerca.
Le Authority lavoreranno insomma su un database condiviso che verrà riempito poco alla volta con le singole decisioni assunte a seguito di ricorsi e reclami: «hanno messo a punto uno schema di analisi di tali decisioni, in cui sono evidenziate le analogie o le differenze nelle valutazioni volta per volta effettuate, soprattutto rispetto a casi particolarmente complessi o caratterizzati da elementi di novità».
Il Garante italiano spiega inoltre che sarebbero già state aperte sessioni di confronto tanto con i rappresentanti dei motori di ricerca (volenti o nolenti, sono questi ultimi gli esecutori primi della sentenza europea), quanto con i rappresentanti dei media (i quali debbono conciliare l’interesse editoriale, l’etica giornalistica e la necessaria tutela del proprio lavoro). La sensazione è che di regole chiare ce ne siano ancora poche e che si sia scelto pertanto di costruirle facendo forza sull’esperienza. Il buon senso sarà fatto stratificare attorno al concetto di diritto all’oblio, insomma, così che ricorsi e sentenze costruiscano uno storico su cui lavorare. Con il senno del poi sarà tutto più semplice e nessuno avrà dovuto accollarsi l’onere di stabilire a priori cosa sia buono e cosa non lo sia, cosa vada dimenticato e cosa no.
Vista la delicatezza del problema, l’approccio appare pertanto pragmatico ed equilibrato, nonché realistico nel fotografare l’attuale fase di attuazione di una sentenza che, prima ancora di essere applicata, ancora deve essere compresa ed universalmente accettata.