Michael chiedeva, KITT rispondeva. Michael chiamava, KITT arrivava. Michael decideva, KITT eseguiva. Parlavano, ragionavano, interagivano. C’era collaborazione e “amicizia” tra i due. E su quella amicizia è nato un sogno per milioni di telespettatori che da sempre vedono l’orologio portato alla bocca come icona di un futuro auspicabile, come obiettivo, come status symbol. E quell’auto come un punto di approdo necessario, come punto di contatto estremo tra il pilota e il suo veicolo: una commistione che va oltre il solo uso del mezzo, perché il rapporto si fa più intimo. Più umano.
Erano gli anni ’80: Michael Knight era uno dei personaggi più noti del mondo dei telefilm, mentre KITT (in Italia conosciuta anche come “Supercar“) era una sportiva nera con l’iconica illuminazione rossa sulla parte frontale. Quella serie tv non ha soltanto segnato la storia di alcuni anni di televisione a livello internazionale, ma ha anche inciso un solco nel modo di pensare delle persone. Una traccia che può avere il gusto della malinconia e il profumo della nostalgia, ma che per molti versi è qualcosa di ben più serio e meno sfumato. Perché durante quelle ore in libertà passate davanti alla tv, veniva incisa nella mente di milioni di persone una dimensione del possibile. Prendeva forma un sogno. Che oggi in molti hanno intravisto dietro l’angolo, pronto a diventare realtà.
Orologi e auto intelligenti
L’orologio di Michael Knight voleva essere uno smartwatch. Non esistevano, negli anni ’80: era una chimera che sta prendendo corpo soltanto oggi e che Apple Watch sta tentando di incarnare al meglio per far proprio il mercato. L’orologio era il tramite tra l’intelligenza umana e quella artificiale, consentiva le comunicazioni tra uomo e macchina, permetteva di avere un contatto diretto e continuo tra Michael e KITT. Ed è questo il primo tassello a concretizzarsi: l’orologio non è più soltanto strumento di misurazione del tempo, ma è qualcosa di ben più complesso, al quale gli autori della serie tv avevano disegnato un ruolo di tramite: l’orologio di Michael Knight non aveva alcuna funzione intelligente, se non quella di offrire un tramite continuo ed affidabile tra il protagonista e la sua auto.
L’auto intelligente è qualcosa che inizia a prendere forma soltanto ora, con ben maggior ritardo, ma sulla scia del medesimo imprinting. Se per arrivare allo smartwatch si è dovuto anzitutto attendere l’esito di anni di miniaturizzazione e potenziamento dei processori (nonché l’ottimizzazione software), per le auto il discorso è molto più complesso e richiede ancora molta strada. Oggi l’auto racchiude molte componenti innovative ed inizia a “dialogare” con il mondo esterno attraverso un crescente numero di sensori: KITT procedeva nella medesima maniera, analizzando l’area circostante potendo così distinguere figure, movimenti, temperature, ostacoli ed altro ancora.
L’obiettivo di dialogare con l’auto attraverso lo smartwatch è qualcosa di assolutamente credibile: nessuno potrebbe più etichettare la cosa come chimera poiché non solo il tutto è possibile, ma sarà anche assolutamente nell’ordine delle cose nel giro di pochi anni.
Fantascienza è sensibilità
Dunque KITT può essere etichettata come antesignana dell’auto che verrà, fungendo in qualche modo da apripista? Gli autori della serie tv sono stati dei veri e propri inventori, capaci di disegnare il futuro tracciando la direzione con cui questo si sarebbe sviluppato?
La situazione è per molti versi più semplice e meno affascinante, anche se all’uomo piace tradizionalmente credere nel mistero dell’Eureka e nell’epopea dei grandi inventori. In realtà, spesso e volentieri l’arte ha la capacità di recepire prima i cambiamenti in atto, riversando poi il tutto sul presente attraverso lo storytelling. Questione di sensibilità, più che di veggenza: di intuito, prima che di intelligenza. KITT non è stata dunque una vera e propria invenzione, ma soltanto un modo per recepire i molti segnali che l’uomo già sentiva sulla pelle: la voglia di tecnologia wearable (nell’epoca del DOS) e il desiderio di uno strumento intelligente con cui spostarsi (nell’epoca delle utilitarie con autoradio estraibile) hanno preso corpo nella storia di una fondazione che indaga e combatte contro il crimine, con autocarri pieni di computer e una affascinante ricercatrice come meccanico dell’ingegneria del veicolo. Ma i segnali erano nell’aria, proiezione di un’epoca nella quale il computer era circondato dall’aura magica della grande rivoluzione che stava per essere calata sulle masse.
La fantascienza, in fin dei conti, forse non traccia quindi neppure la direzione: semplicemente la “sente”, la capisce prima che sia ancora visibile, interpretando l’immanente per sublimarlo in segnale di futuro. Questione di sensibilità: la manifesta prima della scienza, ma senza dar vita ad alcunché che già non abbia preso forma nella coscienza. Ciò nulla toglie alla sorpresa di veder tutto ciò realizzato con estrema somiglianza rispetto a quanto negli anni ’80 la tv aveva già preannunciato: orologi con i quali parlare, auto che parcheggiano e guidano da sole, sensori che vedono la realtà, chip che interpretano il contesto.
Uomo e macchina si parlano
Il tassello che più di ogni altro la scienza sta oggi inseguendo è quello dell’interazione vocale tra uomo e macchina. KITT di fatto era molto più avanti di Siri, Cortana e Google Now, mentre lo smartwatch in nessun caso richiedeva una interazione touch a Michael Knight. La parola è l’elemento più affascinante dell’intero telefilm poiché sottende alla presenza di due entità intelligenti: l’uomo da una parte e la macchina dall’altra. L’intelligenza artificiale è parte del futuro previsto dal telefilm: una intelligenza a cui è negata una forma antropomorfa, ma alla quale è stato dotato il dono della parola. L’empatia tra Michael e KITT scatta istantanea, così come scatta tra KITT e il telespettatore. L’auto con cui parlare è chiaramente la soluzione ideale per richiedere la musica, per decidere la strada da percorrere, per organizzare tragitti a guida autonoma. Michael Knight premeva pulsanti sulla plancia di controllo soltanto in alcuni momenti decisivi, come a sottolineare la priorità dell’uomo sulla macchina nelle decisioni fondamentali, ma tutto il resto è semplice chiacchierata tra esseri dotati di senno, cognizione di sé, capacità analitica e perfette comprensione ed espressione verbali.
Quel che il film dava per scontato era la connettività: l’orologio era praticamente sempre in grado di dialogare con l’auto e quest’ultima era in grado di effettuare telefonate e altre operazioni di ricerca remota ignorando il problema della disponibilità dei collegamenti. Anche in questo si guardava probabilmente avanti, ad un always-on spinto che ancor oggi è invece frammentato e ostacolato da mille paletti di natura tecnica, regolamentativa e di mercato.
Se sull’interazione vocale il telefilm era estremamente all’avanguardia rispetto allo standard raggiunto oggi dallo stato dell’arte, al tempo stesso è ancora possibile credere che la direzione sia la medesima: la capacità interagire con la sola voce fa parte degli obiettivi degli smartwatch (ove il touch potrebbe un giorno essere soltanto alternativa possibile in difesa della privacy) e delle auto (ove la voce garantisce la massima sicurezza durante i momenti di guida, nei quali l’attenzione deve essere tutta sulla strada). L’interazione vocale è la frontiera ultima dell’interazione: è il metodo più naturale inventato dall’uomo in millenni di storia, quello su cui ha formattato la propria intelligenza e su cui ha strutturato i rapporti sociali. L’interazione vocale è tassello base, è il protocollo con il quale avviene il trasferimento delle informazioni tra le persone: se anche le macchine arrivano a concepirne il codice, due mondi finora divisi da interfacce verrebbero a sfiorarsi, dando vita ad una dimensione del tutto nuova e inesplorata. Oltre ci sono le emozioni e l’empatia, l’istinto e le pulsioni, qualcosa che il telefilm ha già anticipato e che la realtà ancora è costretta a guardare da lontano.
Se KITT ha dettato (o intuito) una direzione, ancora non si può dire che la tecnologia del telefilm sia stata raggiunta. Quasi, però: il sogno è ancora intatto e le icone degli anni ’80 altro non fanno se non ricordare ogni giorno come la fantascienza possa essere meno distante di quanto non ci si potrebbe immaginare. «Tutto quel che si può immaginare è reale», sosteneva Picasso. Oggi, nell’era del cambiamento ultra-rapido, tale affermazione assume rinnovato vigore poiché non solo il possibile è reale, ma è anche vicino.