«Mai lasciare i bambini soli in macchina»: il consiglio viene dal ministero della salute all’interno del progetto “Estate sicura”, e suona come una sorta di monito dell’ovvio. Chi mai lascerebbe volontariamente un bambino in auto sotto il sole? Purtroppo, però succede. E succede poiché non c’è volontarietà, ma disattenzione, fatalità, fretta e una moltitudine di concause che si avvitano tragicamente fino al punto del non ritorno. La conseguenza è l’ipertermia, ossia un forte aumento della temperatura corporea che in breve tempo può portare al decesso. Nei bambini la soglia di tolleranza è minore rispetto agli adulti per motivi fisici e la loro capacità di reazione del tutto nulla: sono i bambini le vittime predestinate.
Ed è successo, nuovamente, nelle ultime ore: una bambina di appena 5 anni è deceduta presso un camping di Muzzano nel Canton Ticino ove la mamma l’aveva lasciata in auto a riposare. Il passaggio dal sonno alla morte è avvenuto nel giro di poche ore, mandando in pezzi l’ennesima famiglia.
L’ipertermia può verificarsi in soli 20 minuti e la morte può avvenire entro circa 2 ore
Ipertermia in auto: oltre la fatalità
Non si può più parlare di semplice fatalità perché vengono a mancare alcuni elementi propri del fato: l’imprevedibilità e la non conoscenza. La morte di bambini a causa del caldo eccessivo è tutt’altro che imprevedibile e ignota, poiché le statistiche mettono con le spalle al muro e scuotono la coscienza: «Negli Stati Uniti muoiono ogni anno in media 36 bambini a causa dell’ipertermia per essere stati lasciati in auto, per un totale di 468 morti negli ultimi 12 anni». In Francia i dati contano 24 casi tra il 2007 e il 2009, 5 dei quali mortali: numeri che lasciano uno strascico gravoso, nel quale il senso di colpa si somma alla tragedia personale fino a rendere insostenibile la situazione.
Il problema non è né geolocalizzato, né addebitabile in modo particolare a padri o madri. A raccontare i dettagli della spirale maledetta è la narrazione degli ultimi momenti da parte dei genitori caduti nella tragedia: i punti in comune sono sempre stati fattori che hanno distratto l’attenzione, momenti di stress particolare, attività di routine che hanno annullato nella mente la presenza del bambino sul sedile posteriore. Situazioni e contesti apparentemente normali nei quali è avvenuta una deviazione fatale e inconscia.
Nascondersi dietro la fatalità o l’indignazione è un modo poco costruttivi di affrontare la situazione. La realtà è infatti ben delineata, ha un perimetro misurabile e negli ultimi anni raccoglie una attenzione altissima da parte dei media. Ad oggi, però, la soluzione è stata lasciata ad interventi tecnologici volontari, senza intervenire radicalmente sul problema. In particolare sono disponibili soluzioni di facile installazione che, capaci di “pesare” la presenza del bambino sul seggiolino, avvertono il genitore nel momento in cui scende dall’auto. Un semplice avviso acustico può infatti evitare una tragedia imminente, trasformando la “fatalità” di una dimenticanza in un fatto privo di conseguenze: l’allarme suona e il problema è risolto.
Ma è possibile ipotizzare un intervento dall’alto per ovviare al problema? Nel 2013, dopo l’ennesimo caso, una interrogazione parlamentare ha sollevato la questione presso il Parlamento Europeo. Così rispose ai tempi Antonio Tajani:
Alla luce di quanto sopra, l’introduzione di dispositivi elettronici che ricordino ai conducenti la presenza di un bambino nell’automobile può essere contemplata alla stregua di una nuova tecnologia di sicurezza al fine di determinare se sia tecnicamente fattibile, affidabile ed efficace sul piano dei costi.
La risposta dall’automotive
Lasciare che il problema cerchi soluzione nell’intervento volontario dei singoli, però, non risolverà mai il problema stesso poiché non lo lega a normative in grado di rendere più sicuro l’uso dell’auto. Quanti genitori di fronte alla scelta di investire sull’acquisto di un dispositivo di sicurezza obietterebbero argomentando il proprio diniego con un “a me non potrebbe mai succedere”?
In virtù dell’impossibilità di eliminare le concause che portano alla tragedia del bambino dimenticato in auto (paradossalmente il problema può verificarsi anche in giornate relativamente fresche, nelle quali il surriscaldamento dell’abitacolo non è nemmeno preso in considerazione come condizione possibile), non resta che intervenire in modo proattivo per evitare che ciò possa accadere. Intervenire radicalmente, aggirando la selva delle cause per operare ad un livello differente. Ed in tal senso molto può essere fatto, oggi, in seno alla forte evoluzione tecnologica che le auto stanno maturando.
Il controllo della presenza sui sedili posteriori è facile da realizzarsi, anche evitando di delegare ai seggiolini o a tecnologie terze il tutto. Determinata la presenza di persone a bordo del veicolo, e misurata la temperatura dell’abitacolo, tutto il resto è di facile soluzione: un allarme che avvisa il guidatore che scende, un avviso remoto che segnala una situazione di emergenza, fino ad un’automobile in grado di agire proattivamente per abbassare la temperatura di bordo oltre certe soglie di pericolo.
Le strategie che si potrebbero implementare sono molte: l’auto elettrica consente infatti di azionare sistemi di emergenza tramite un semplice monitoraggio, mentre le nuove auto connesse potrebbero gestire comunicazioni di allarme di vario tipo per richiamare l’attenzione su una situazione di pericolo. Il ventaglio di opportunità è estremamente vasto.
Se ne occupi la politica
Ed affinché possa occuparsene l’automotive, probabilmente dovrebbe occuparsene anzitempo la politica. Se all’interrogazione parlamentare potesse far seguito un intervento legislativo ad hoc, alzando la soglia degli standard di sicurezza in auto, si potrebbe ottenere dal mondo dell’automotive un impegno mirato e standardizzato per arrivare alla formulazione della miglior soluzione (sia per gli utenti che per l’industria). Fissare uno standard di sicurezza significa alzare l’asticella sulla sensibilità al problema, promuovendo azioni verso la soluzione del tutto e consentendo una risposta cooperativa da parte dell’intero settore.
L’intelligenza a bordo dell’auto e l’evoluzione tecnologica degli abitacoli può fare molto per risolvere il problema. Fino ad oggi la gravità dei numeri, moltiplicata per la tragedia che ogni singola unità rappresenta, non aveva ancora messo in evidenza l’estrema importanza di un intervento di questo tipo. Ora è però venuto il momento di intervenire e tutto ciò andando oltre i soli sensori già sul mercato: la risposta deve essere collettiva e collegiale, standardizzata e prevista dalle normative, strutturale e coordinata.
Quando per descrivere una tragedia si smette di parlare di fatalità, si va oltre l’indignazione e si matura la piena consapevolezza sui fatti, si è fatto il primo passo verso la risoluzione del problema. Ne restano molti altri, con responsabilità distribuite su tutti. E l’unica risposta vera può arrivare dalla tecnologia. Dalla ricerca. Dall’intelligenza.