Superare il dogma del Prodotto Interno Lordo, di cui sospettava già Bob Kennedy più di quant’anni fa. Da tempo gli istituti economici e statistici lavorano a criteri alternativi per misurare il benessere di una popolazione e tra questi i più convincenti sono quelli che considerano anche l’aspetto della sostenibilità. È il caso del BES presentato dall’Istat, dove molto credito è concesso anche all’accesso ai servizi, all’istruzione e all’innovazione digitale.
Se l’agenda digitale volesse darsi un quoziente, insomma, sarebbe senz’altro il Benessere Equo Sostenibile. Sul sito misuredelbenessere.it si trovano i 12 indicatori – Salute, Istruzione, Lavoro e conciliazione dei tempi, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Qualità dei servizi, Ricerca e Innovazione – con numerose voci di sottocategoria.
Il sito permette di visualizzare le statistiche in forma di tabella o grafica, ed è possibile anche incrociare liberamente questi dati con diverse e raffinate funzioni di analisi: Checkup che definisce stato di salute di una regione, Benchmarking che permette il confronto fra più Regioni; Report che produce un file pdf con le informazioni degli indicatori presenti nelle dimensioni selezionate; Gap Analisi che mostra lo scostamento tra due regioni in riferimento agli indicatori di una dimensione.
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=mDgZfyffOTo[/youtube]
Un paradiso per gli appassionati di statistica e demografia, ma c’è una voce che interessa più di altre, qui, ed è quella su Ricerca Innovazione. Il report (PDF) mostra il crescente impegno del Paese – che si è appena dato un’agenzia per l’agenda digitale – ma anche i ritardi strutturali rispetto agli altri paese europei.
Nel confronto europeo l’Italia recupera lentamente il gap su ricerca e sviluppo, ma non a sufficienza, perché soffre di alcuni problemi storici: scarsi investimenti pubblici (l’Italia col suo 1,3% è lontanissima dall’obiettivo europeo del 3% del PIL); scarsa occupazione nei lavori tecnologici, dove praticamente siamo dietro a tutti i paesi più importanti e peggio di noi fanno solo Lettonia, Polonia, Cipro, Grecia, Portogallo, Romania. In compenso, pur tra mille difficoltà, emerge sempre il lato creativo del genius italicus e il Belpaese ha un’attività di brevetti ancora sana, se pur limitata.
La tipica diffusione a macchia di leopardo delle eccellenze (il top è il trentino) non aiuta, inoltre, la creazione di metadistretti, di poli innovativi, dentro comunque un forte divario nord-sud. Ma forse il problema principale è il rapporto fra ricerca privata e ricerca pubblica. L’Italia non ha praticamente più un piano industriale. L’obiettivo di un finanziamento privato alla ricerca e sviluppo per due terzi rispetto al totale è stato raggiunto da molti degli stati membri dell’unione europea, ma non dall’Italia.
Il confronto tra la tabella sugli investimenti totali e quella sul ruolo pubblico in questi investimenti balza subito agli occhi: i paesi fanalini di coda come Italia, Grecia, Bulgaria, Cipro, sono i paesi che investono più risorse pubbliche. E viceversa. La crisi industriale costringe paesi poco virtuosi a sopperire con denaro pubblico, ma così facendo pone le basi per acuire la crisi.
Per quanto riguarda Internet e l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione, è noto come l’Italia abbia fatto passi avanti, soprattutto nell’uso quotidiano della rete, ma ancora con forti differenze generazionali e di livello di istruzione. Basti pensare al livello di competenze informatiche (PDF): le persone in grado di compiere le sei operazioni principali su un computer non superano il 20% della popolazione.