Uno dei temi più complessi e centrali del nostro tempo è la mobilità. Il motivo è nel fatto che di motivi ce ne sono molti e basta graffiare appena la superficie per esplorare un tema dalla notevole complessità, dalla miriade di risvolti e dalla moltitudine di sfaccettature. Ecco perché proprio il tema della mobilità è finito per essere uno dei momenti più interessanti tra gli appuntamenti di Biennale Democrazia, a Torino dal 29 marzo al 2 luglio.
Biennale Democrazia è un “laboratorio pubblico” giunto alla quinta edizione, un momento nel quale si chiede ai cittadini di farsi parte attiva in questa fase di cambiamento della città e della società. “Stati di necessità”, “Società dell’incertezza”, “Governo dell’emergenza”, “Nuovi inizi”: sul fino di questi canali tematici, l’evento ha voluto esplorare soprattutto in questa edizione «la crisi, le difficoltà, le incertezze che una serie di problematiche legate alla ricerca dell lavoro, alle migrazioni, al terrorismo, alle guerre, all’aggressione dell’uomo all’ambiente generano nella società odierna, provocando disorientamento».
Eni, main sponsor dell’edizione 2017, si è trovata ad essere protagonista attiva dell’intenso dibattito generatosi nella maestosa “Sala dei mappamondi” dell’Accademia delle Scienze: grazie agli approfondimenti del Chief Refining & Marketing Officer Giuseppe Ricci e alle analisi del professore del Politecnico di Torino Marco Diana, coordinati dalla moderatrice Silvia Rosa Brusin, l’evento ha esploso il tema della mobilità sostenibile mettendone in evidenza soprattutto l’enorme complessità di fondo.
Mobilità e carburanti
Le analisi dei partecipanti (tra i quali è d’obbligo annoverare anche un folto e competente pubblico) hanno spaziato sulle varie prospettive che il tema della mobilità solletica. Il punto di partenza è quello suggerito dalla moderatrice, ossia le 66 mila morti premature che ogni anno in Italia vengono direttamente o indirettamente attribuite alle polveri sottili. PM10 e particolato secondario, infatti, sono un problema sempre più evidente nelle grandi città e in generale in tutto il nord Italia, dove l’assenza di correnti d’aria impedisce un riciclo dell’aria sufficiente a spazzare via le polveri ed a ridurne la presenza soprattutto sulle reti urbane. Se si intende trovare davvero una soluzione al problema occorre però evitare la faciloneria degli interventi immediati: soltanto una vera progettualità di fondo è in grado di incidere realmente per cambiare le cose. A cosa serve la sospensione della circolazione se in pochi giorni il problema torna in auge? A cosa serve ampliare le ZTL se il problema viene soltanto spostato di pochi metri al di fuori dei centri storici? A cosa serve investire nella mobilità elettrica se l’elettricità viene generata a carbone?
Dal momento in cui l’emergenza impone una qualche reazione, l’ultima cosa da fare è continuare a portare avanti iniziative scomposte e prive di coordinamento: soltanto un vero progetto potrà restituire risultati apprezzabili, poiché soltanto integrando tutte le varie opportunità è possibile dipingere il quadro del prossimo futuro.
I relatori sono concordi nel sentenziare il fatto che tanto l’industria quanto le istituzioni possano trovare obiettivi comuni e strade da percorrere a braccetto. Una di queste potrebbe portare a risultati immediati: i 500 milioni che Eni ha investito nella ricerca per la produzione dei biocarburanti di nuova generazione (Eni Diesel+ ne è un esempio) possono oggi diventare risorsa a disposizione di quelle città metropolitane che potrebbero scegliere il carburante per i propri mezzi pubblici, garantendo un minore impatto ambientale proprio laddove il problema è più sentito (sono oltre 25 mila i bus che girano tra le strade italiane, la gran parte dei quali alimentati a gasolio). Il solo approdo al nuovo diesel abbatterebbe del 20% le polveri sottili emesse, il tutto all’interno di una filiera che già sta convertendo vecchie raffinerie e che punta ora a riciclare anche olio esausto di varia provenienza.
Il biocarburante può bastare? No, e in questo la posizione del dott. Ricci è chiara: le politiche di lungo periodo debbono porsi obiettivi più ambiziosi, affiancando la scelta dell’elettrico a nuove soluzioni di mobilità intelligente, ma nel frattempo occorre agire nell’emergenza con politiche ad impatto immediato che vadano a stimolare – anche dal punto di vista culturale – i cittadini. La politica per uscire dall’impasse odierna deve dunque essere edificata in varie fasi: un biocarburante può offrire immediato sollievo garantendo motori più efficienti, minori consumi e minori emissioni; l’opzione metano abbatterebbe i PM10 e consentirebbe nel medio periodo un ulteriore passo avanti; il passaggio all’ibrido prima ed all’elettrico poi consentirebbe il raggiungimento della chimera finale, che però ad oggi rimane tale: troppi i problemi ancora da risolvere, troppo complesso il completamento della rete di approvvigionamento, troppo oneroso l’investimento per poter essere calato tra le masse. Inoltre, prima di approdare all’elettrico occorre trovare il modo di generare sufficiente energia senza passare dai combustibili fossili: oggi infatti l’Europa finanzia le energie alternative con una mano mentre con l’altra importa carbone, il che è tutto fuorché una vera politica di decarbonizzazione. Ancora una volta, quindi, dietro la complessità del problema si celano politiche economiche ed interessi di parte, ma un’analisi attenta e pragmatica del problema consiglia interventi immediatamente scalabili e progettualità ben coordinate nel tempo.
Il diesel, ad esempio, oggi paga i danni di immagine che ha subito a causa dei modelli di molti anni fa: la generazione “Euro 6” ha visto infatti (soprattutto nelle officine torinesi di FCA) un grande passo avanti del diesel rispetto ai motori a benzina, aumentando considerevolmente l’efficienza e riducendo drasticamente le emissioni. Se oggi il diesel viene stigmatizzato poiché facilmente additabile come causa dei mali dei circuiti cittadini, si ignora un trend che oggi vede nel diesel un’occasione: la conversione di un parco macchine troppo datato è l’opportunità prima tanto per il rilancio dell’industria automobilistica, quanto per una vera e sostanziale riduzione delle emissioni.
Mobilità e car sharing
Il car sharing può essere la risposta ai problemi ecologici delle città? No, ma può essere comunque parte della risposta. Secondo il dott. Diana, infatti, il car sharing va pensato per quello che è, per i limiti che ha e per le opportunità di studio che sta riversando sul problema della mobilità. In particolare il car sharing va introdotto all’interno della ricetta cittadina laddove può costituire un vero vantaggio, sostituendo flussi di mobilità “errante” già su quattro ruote. Se il car sharing sostituisse i mezzi pubblici o la mobilità in bicicletta, infatti, non si sarebbe fatto nulla per migliorare la situazione.
Dal canto suo Eni è oggi in grado di asserire che Enjoy sia ormai vicina al break-even: ciò significa che, dopo anni di investimento in un progetto che ha sortito soprattutto benefici a livello di immagine, il tutto sta ora per diventare anche occasione di guadagno tanto che Eni è pronta ad esportarne il marchio anche all’estero. Oggi Enjoy raccoglie circa 20 mila noleggi al giorno, entrando sempre di più nell’immaginario collettivo come nuova opzione per gli spostamenti in città in sostituzione dell’auto di proprietà. Milano e Roma in tal senso stanno giocando un ruolo dominante, ma il trend è positivo ovunque: una città come Torino ha ormai il 6% dei cittadini iscritti al servizio, il 25% dei quali già lo usa abitualmente.
Il car sharing, così come il car pooling e nuovi sistemi per la progettazione della mobilità urbana, debbono integrarsi in modo da farsi strumenti di una vera e propria politica dei flussi. La reingegnerizzazione dei trasporti pubblici, partendo dai tram e arrivando alla divisione delle città in fasce (il cui attraversamento implica diverse modalità di trasporto) è quel che si chiede ad una città moderna per affrontare seriamente il problema in modo organico: flussi più intelligenti, strumenti più intelligenti, modalità più intelligenti. Il tutto però non può fare a meno di un ingrediente a questo punto essenziale: utenti in grado di concepire la mobilità in modo più intelligente.
Mobilità, serve una nuova cultura
L’auto come strumento per spostarsi e non come status symbol o estensione della propria personalità; l’auto come bene condiviso e non come culla della proprietà privata; la città come luogo di benessere e non come luogo ameno da attraversare da soli all’interno di abitacoli colmi di stress; il ritorno della bicicletta attraverso apposite politiche di stimolo. Ma tanto chi progetta i carburanti quanto chi progetta i flussi della mobilità, concordano sul fatto che l’ingrediente più essenziale è un salto culturale che porti la cittadinanza ad interpretare in modo differente la strada.
Ciò non deve chiaramente deresponsabilizzare né le istituzioni, né l’industria: occorre continuare nella ricerca di nuove soluzioni tecnologiche, ma al contempo occorre anche stimolare una evoluzione necessaria nel modo in cui la strada viene percepita e sfruttata, nonché regolamentata. Il dott. Diana ha citato un dato molto particolare, secondo cui gli studi sulla mobilità dovrebbero partire dal fatto che esiste una invarianza relativamente al tempo che le persone dedicano agli spostamenti in tutto il mondo. Che ci si sposti a piedi nella Savana o che ci si sposti in occidente sui treni ad alta velocità, la media del tempo dedicato agli spostamenti rimane pressoché uguale. Non conta l’occupazione, non conta il contesto, non conta la capacità di organizzare i flussi per velocizzare gli spostamenti: il tempo rimane sempre e comunque pressoché costante. Se non si comprende a fondo il significato di questa evidenza, nessun lavoro sulla mobilità potrà mai essere davvero efficace. Perché se si consente alle persone di viaggiare più velocemente, sapendo che le persone tenderanno a sfruttare il tempo disponibile con viaggi ulteriori, allora non si fa altro che aumentare il tasso di stress dei circuiti urbani senza poter mai far tesoro dei passi avanti compiuti. Si prospetta un efficientamento continuo, insomma, che nulla restituisce però alla sostenibilità.
Sebbene il problema sia abnorme e cronico, è ormai altresì metabolizzato il fatto che la mobilità sia lo snodo di un passo evolutivo che la società è ormai prossima a compiere. Verrà un giorno in cui l’IoT e il 5G consentiranno di arricchire gli strumenti al servizio della mobilità, i carburanti avranno minor impatto ambientale, l’utenza si sposterà secondo regole dettate da istituzioni illuminate e tutto funzionerà al meglio per evitare che le città sprofondino sotto il peso della propria inefficienza. Per arrivare a quell’obiettivo, però, occorre fare qualcosa subito, guadagnando così tempo e potendo progettare con maggior serenità.
Il pubblico della Biennale Democrazia ha dimostrato di poter essere il primo tassello di questo passaggio: sebbene non ci fosse accordo nei modi, il dibattito ha evidenziato ampio allineamento di tutti circa le finalità e gli obiettivi. I mappamondi presenti nella sala dell’Accademia delle Scienze, del resto, erano un monito tanto involontario quanto prezioso: quella sfera è tutto quel che ci accomuna, quel che ci unisce e quel che dovremo lasciare alle generazioni che verranno.