Il giorno per la rivendicazione dell’orgoglio pedofilo non avrà in Italia un sito ufficiale per la propria promozione. L’azione ha sollevato grande scandalo nelle passate settimane a seguito dei principi portati avanti dal gruppo che ha curato il sito stesso e innumerevoli iniziative di protesta sono state avviate sul web per porre fine alla protesta organizzata (la quale prevede per il 23 giugno l’accensione di piccoli ceri per esprimere solidarietà ai pedofili in carcere).
Digitando l’url si ottiene oggi dall’Italia semplicemente una schermata bianca. Il sito, però, è navigabile con strumenti non difficilmente reperibili ed inoltre una copia dello stesso è rimasta parzialmente conservata all’interno della cache di Google. La censura attuata, pertanto, non va oltre un imprescindibile significato simbolico: all’atto pratico la rete non è vincolabile con troppa semplicità.
L’iniziativa “BoyLove Day” rivendica il diritto a rapporti tra persone di diversa età, nega di ospitare link a siti pornografici e non chiede alcun condono per gli atti illegali. La rivendicazione prende il via dalla Carta per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e chiede di poter essere espressa in nome della libertà di opinione e di parola. L’iniziativa polemizza contro l’assenza di un dibattito reale e si appella alla ragionevolezza degli utenti per spingere gli stessi a leggere approfonditamente le riflessioni portate avanti all’interno del sito oggi censurato.
Le associazioni italiane contro la pedofilia applaudono in coro per quanto posto in essere dal Ministero delle Comunicazioni. Spiega La Stampa: «la collaborazione con la Polizia da parte degli Internet Service Provider è stata facilitata anche dalla positiva esperienza avviata col decreto interministeriale del 29 gennaio 2007 – voluto dal Ministro Gentiloni ed operativo dal 30 aprile scorso – che ha previsto un tavolo tecnico coordinato dallo stesso Ministero delle Comunicazioni per l’individuazione delle procedure più idonee al contrasto della pedopornografia online».
La censura posta in essere, dunque, non è un semplice atto estemporaneo, ma un concreto strumento studiato e prestabilito per legge per contrastare pericolose derive pedofile di cui la rete diventa con troppa facilità veicolo di promozione. Per la prima volta sarebbe stata dunque applicata la Legge 38 del 6 febbraio 2006 («Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet») con cui le autorità predispongono una black-list a cui gli Internet Service Provider fanno riferimento per bloccare i siti segnalati.