Non si può dire che il vinile non stia vivendo il suo momento d’oro, una vera e propria resurrezione: così come dimostrato da diverse ricerche di recente condotte, 33 e 45 giri sono tornati ai livelli di vendita del 1990. Uno straordinario successo, quello per un formato che si pensava ormai dimenticato, tuttavia forse minacciato da un evento economico e politico ormai evidente: la Brexit. Sempre più realtà di produzione e di distribuzione musicale, infatti, temono che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea possa influenzare negativamente il mercato del solco. Non mancano, però, dei commenti entusiastici.
Il Regno Unito rappresenta da sempre uno dei mercati più importanti a livello musicale, forse addirittura il più importante: a differenza degli Stati Uniti, patria dei generi più di immediato consumo, è proprio Oltremanica che nascono con largo anticipo tutti i trend d’ascolto che prenderanno poi piede nel resto del mondo. Non a caso, gli artisti britannici godono quasi tutti di un grande successo internazionale e, nonostante la crisi, l’universo discografico ha subito minori contraccolpi in UK che altrove. Eppure la Brexit, ormai a uno stadio abbastanza avanzato della sua attuazione, potrebbe modificare sensibilmente uno dei mercati più fiorenti degli ultimi anni: quello del vinile.
Con la rinascita dei 33 e dei 45 giri, l’Europa si è trovata in una posizione privilegiata sul mercato della produzione di dischi: all’interno del Vecchio Continente vi sono due dei più grandi impianti di stampa al mondo, in Germania e in Repubblica Ceca, ma anche altri Paesi si difendono più che egregiamente, tra cui proprio l’Italia. Oggi il Regno Unito si affida largamente a questi impianti per la produzione dei dischi dei propri artisti, i quali rappresentando gran parte del settore, di conseguenza la Brexit potrebbe causare numerosi intoppi. Sia per le realtà britanniche, che potrebbero essere costrette a pagare costi di import elevati per la stampa di vinili altrove, che per queste stesse realtà industriali, visto che l’uscita dall’Unione Europea potrebbe spingere imprenditori d’Oltremanica a realizzare catene produttive autoctone.
BBC ha voluto intervistare diverse realtà locali, sia su piccola che su grande scala, per comprendere come la discografia veda la Brexit. Sul fronte dei preoccupati vi sono innanzitutto le grandi etichette, così come riferisce Ian Moss di BPI:
La paura è sul tipo di accordi che saranno posti in essere e su quanto sarà facile, o meno, trasportare vinili da una nazione all’altra.
Non fanno eccezione le indie, i soggetti che potrebbero essere maggiormente svantaggiati dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Chris Goss di Hospital Records, una piccola società di Brighton, teme infatti che i costi possano lievitare in modo incontrollato, escludendo quindi dal mercato realtà dai budget mediamente contenuti:
È tremendamente frustante che celebriamo il fatto la nostra musica sia internazionale, eppure grazie al nostro governo di destra stiamo minacciando le operazioni internazionali. Sono anni che stampiamo i dischi in Germania e la situazione politica che si sta creando renderà tutto ciò ancora più difficile, nonché costoso.
Fuori dal Regno Unito, invece, i vari impianti di stampa temono di poter perdere ordini da player centrali, data proprio l’importanza del mercato britannico e la possibile nascita di stabilimenti autoctoni, più economici rispetto a quelli esteri. GZ Media, il più grande produttore di vinili al mondo, non a caso sta valutando l’ipotesi di aprire un impianto in UK. Vi è però anche chi esulta, ovvero le startup e le piccole aziende di stampa, come Vinyl Presents: il direttore Daren Fudge, proprio poiché le varie etichette dovranno trovare partner autoctoni per risparmiare, vede infatti la Brexit come una grande opportunità.