Fabula e intreccio ce li spiegano fin dalla scuola dell’obbligo. E per molto tempo abbiamo dato per assodato il fatto che fossero due piani di lettura differenti della medesima realtà, i due soli modi per dar vita ad un punto di vista: la fabula, ossia l’ordine logico e naturale delle cose, oppure l’intreccio, ossia una elaborazione narrativa fatta ad arte per dare maggior enfasi a taluni aspetti (una sorta di effetto Instagram applicato allo svolgersi della vicenda). Fabula e intreccio, però, non funzionano in un ambito che di narrazione ne ha parecchia di per sé: l’innovazione. Del resto quel che ancora non è, può apparire soltanto attraverso un racconto intenso, continuo, roboante. Fabula e intreccio sembrano però sfumare in quello che è lo “storytelling”, parola che nella sua formulazione anglofona sembra voler fagocitare un mondo intero di narratori, narrati, fatti, proiezioni, visioni e molto altro. Un buco nero: un frullatore di nomi e link, url e immagini, infografiche e asserzioni, all’interno di un grande flusso nel quale è spesso difficile anche distinguere il bene dal male.
La confusione diventa quindi naturale, perché fin dalla scuola dell’obbligo ci hanno insegnato che discernere il bene dal male è importante nella vita. Anzi, è fondamentale. Ma questa distinzione si fa complessa proprio nel momento in cui fabula e intreccio sbattono contro un muro, nel momento in cui i racconti si fanno parziali, nel momento in cui vengono a mancare punti di riferimento che siamo culturalmente predisposti a cercare.
Fabula e intreccio da sempre godono di un grande privilegio: il senno del poi. Elaborare una storia, plasmarla o narrarla, è facile quando tale storia è già stata scritta, se ne conoscono gli esiti e si capisce facilmente chi è il protagonista, chi il comprimario, chi il buono, chi il cattivo, chi il vincitore e chi lo sconfitto. Quando invece si è dentro una storia, e in molti casi si cerca addirittura di anticipare la storia stessa, tutto è differente. La visione di insieme diventa qualcosa di differente e la narrazione perde la sua neutralità: l’enfasi non è più semplice effetto Instagram, ma è un modo per influire sul fluire della storia stessa. Si è inestricabilmente parte della fabula e si è inevitabilmente protagonisti dell’intreccio, autori e narrati al tempo stesso, giocoforza particelle di un grande flusso che travolge tutto e tutti.
Nessuno deve sentirsi escluso, quindi. Il grande storytelling che coinvolge gli attori dell’innovazione è prepotentemente parte integrante della realtà e il dare enfasi a questa o quella entità può influire parecchio sugli esiti delle vicende a cui si prende parte. Avere un punto di vista significa schierarsi e la neutralità diventa un dono raro: l’oggettività è sacra vocazione, un modo per dichiararsi fuori dalla storia, ma impone anche un limite nel modo in cui si guarda all’innovazione stessa.
In questo buco nero anche i narratori perdono i loro punti di riferimento secolari. In questo frullatore anche le buone intenzioni ne escono spesso violentate. Lo storytelling totalizzante dell’innovazione è una storia scritta in divenire, a più mani, senza un disegno collettivo e senza nessuno a tessere le trame della vicenda.
Se sarà una storia buona o meno, dipende da ognuno di noi: da chi dovrà raccontare la storia stessa, da chi decide ogni giorno ove leggerla, da chi crede e da chi è creduto, da chi “condividi” e da chi “il tuo post è stato condiviso”. Una storia fatta di fiducia reciproca, di legami, di contaminazioni. Mentre crediamo di raccontare una storia, la stiamo in realtà creando. Perché l’innovazione è questo: è sporcarsi le mani ogni giorno, osare, rischiare, porsi obiettivi. Nulla di quel che si ottiene è casuale: tutto è frutto di finalità, etica, pulsione, azione. Un equilibrio dinamico in disequilibrio continuo, con passi avanti che son spesso passi indietro e passi indietro che spesso son preludio a grandi passi avanti. Confusione, caos apparente.
Ma in questo buco nero entra anche la luce rappresentata dai valori: tanta buona volontà. Tante persone lucide e brillanti. Tante potenzialità inespresse pronte a deflagrare. Tanta voglia, tanto attivismo, tanto ardore.
Queste vogliamo raccontare. Ripartire dai valori, dal lavoro, dalle pulsioni vere.
Questo ci auguriamo per il 2016 e questo auguriamo a tutti voi. Laddove c’è una luce, anche fabula e intreccio ritroveranno il proprio corso. Bene e male torneranno a distinguersi con più chiarezza. E tutto quel che abbiamo imparato fin da piccini, anche nel vorticoso mondo dell’innovazione tornerà ad avere senso.
Buon anno!