Fino a ieri era uno dei siti centrali nella lotta contro le bufale online, oggi è invece al centro di un caso giudiziario che ha già fatto accapponare la pelle a molti. Butac (Bufale Un Tanto Al Chilo) è infatti da alcune ore irraggiungibile e il motivo è presto spiegato sulla homepage del sito: «Sito web sottoposto a sequestro preventivo – Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni per l’Emilia Romagna – Bologna – Proc. Penale nr. 3520/18 R.G.N.R. – nr. 3763/18 R. G.I.P. – Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna».
Un’immagine statica in homepage, l’intero sito oscurato e nessuna spiegazione sono la miccia ideale per accendere l’indignazione di quanti in butac.it avevano trovato un riferimento contro chi ancora crede che un bicchiere al giorno di acqua e limone possa essere un toccasana per la salute.
La spiegazione il fondatore del sito, Michelangelo Coltelli, ha spiegato a Il Post le cause del blocco: «il sequestro preventivo è stato disposto in seguito a una querela per un articolo pubblicato due anni e mezzo fa, nel quale erano segnalate le dichiarazioni di un oncologo che promuoveva la medicina olistica, senza fondamento scientifico». Lo stesso Coltelli per il Disinformatico di Paolo Attivissimo: «Un mese fa riceviamo una querela per diffamazione, per un articolo del 2015. La querela non chiede la rimozione dell’articolo che pertanto resta online. Il PM di Brindisi però ritiene evidentemente che per quel singolo articolo vada sequestrato l’intero sito. Il danno per BUTAC d’immagine è ovviamente grosso. L’articolo faceva riferimento ad un medico iscritto all’ordine che spaccia medicina olistica in televisione (canali RAI)».
Se a seguito di una querela ha sicuramente senso un approfondimento da parte delle autorità coinvolte, al tempo stesso appare del tutto sproporzionata la misura cautelare adottata, poiché blocca un sito con un archivio di oltre 3000 articoli per fermare temporaneamente l’accesso ad un vecchio articolo il cui traffico era oggi presumibilmente molto basso in virtù dell’età del contenuto.
In passato altre querele avevano portato a provvedimenti di minor magnitudo, ma in questo caso la Procura di Bologna ha voluto andarci pesante fermando un intero sito. Al momento non è dato sapersi altro, né circa i tempi della verifica, né in relazione alla riattivazione di un sito che nel tempo si è fatto apprezzare per la sua attività di debunking in favore del vero.
In discussione v’è in questo caso soprattutto il metodo, qualcosa che viene prima e al di fuori del merito della querela. Sul tema è intervenuto anche Enrico Mentana:
Ancora Il Post: «A Butac.it lavorano due persone, che coordinano poi il lavoro di diversi collaboratori. Il sito collabora spesso con la stessa Polizia Postale, segnalando per esempio tentativi di truffe online». A onor del vero non può certo essere il pedigree di un sito a stabilire il comportamento delle autorità in caso di illecito. Al tempo stesso non può essere una vaga ipotesi di illecito a poter affondare un intero sito, soprattutto se con un pedigree come quello di Butac.it. Troppo spesso in passato si è combattuto per i famigerati “bavagli” che volevano trasformare in normalità interventi di questo tipo (vedi “Il rumore dei nemici“) per mezzo di un definitivo intervento legislativo, ma una volta fugata a più riprese questa possibilità ci si trova di fronte ad un intervento scomposto e radicale come l’oscuramento di un intero sito per la querela legata ad un singolo articolo di oltre 2 anni fa.
Il caso non potrà che avere strascichi, perché il pericolo di un precedente di questo tipo andrebbe a minare non solo ogni singola attività sul Web, ma la stessa libertà di espressione laddove il Web viene usato come strumento principe di divulgazione.