Google è ormai decisa a diventare una piattaforma di pagamento elettronico in mobilità. Le novità annunciate dall’I/O 2015 a San Francisco compongono l’evoluzione e probabilmente il superamento di Wallet e una partnerhip di alto livello con gli istituti finanziari e le loro carte di credito. Tutto questo però, è solo epayment, mentre il buy button – confermato da un dirigente ma non citato all’evento – è molto di più: è commercio elettronico.
Android Pay è certamente un ingresso importante nel mondo del denaro elettronico, perché nessuno come Google ha la forza e la tecnologia per fare dell’ambiente open source il passpartout definitivo che farà degli smartphone i sostituti completi del portafogli (come avviene già in Asia, dove questo processo è più avanzato); quando Google lavora anche sul cross-platform, cioè sulle pagine del suo motore di ricerca, l’impatto è ancora più profondo. Per questo molti all’indiscrezione sul pulsante “buy” nelle serp del motore hanno reagito parlando di discesa in campo contro Amazon, eBay o altri grandi marketplace, ma è proprio così oppure è un affare per tutti?
Sul mobile si cerca, sul desk si acquista
Con l’idea del bottone “acquista” impostato per essere disponibile solo sui dispositivi mobili, ambiente dove Big G ha recentemente puntato anche cambiando i suoi algoritmi, è chiaro che dalle parti di Mountain View si ritiene che gli smartphone e i tablet devono diventare la via dell’ecommerce. Oggi infatti non lo sono. A dispetto dell’enorme diffusione dei device, il comportamento di acquisto dell’utente a livello globale è ancora nettamente a favore del pc: tutti gli esperti del settore si spremono le meningi per uscire da questo tunnel, il cosiddetto “percorso di interazione e acquisto” che vede l’utente medio accendere il tablet la mattina per informarsi, portare con sé lo smartphone tutto il giorno e interagirvi e la sera tornare ad utilizzare il tablet e il pc desktop o il notebook per procedere ad azioni complesse come l’acquisto online, dopo aver fatto ricerche e comparazioni con gli altri device nelle ore precedenti.
Il tasso di conversione (percentuale di vendita sul totale delle visite) del mobile commerce è circa 4 volte inferiore a quello del desk, anche se spesso il mobile rappresenta più della metà delle visite al sito di un retailer. Google se ne è accorta e il buy button può rappresentare un sostegno a tutto il settore, altro che un concorrente. Tutti i consumatori si aspettano di essere in grado di effettuare transazioni rapidamente e in modo sicuro da dispositivi mobili e qualsiasi società che non lo ha fatto sarà rapidamente scavalcata da concorrenti più agili. Si riproduce lo stesso timore degli anni scorsi rispetto ai viaggi e ai tanti altri servizi cannibalizzati da Google: le aziende temono di perdere il contatto diretto col cliente, ma il motore ne porta di più. Che fare?
Google non è ecommerce, ma un PSP
Di fatto, Google non aggredisce l’ecommerce di Amazon – che si occupa del commercio elettronico in tutti i suoi aspetti, dalla logistica al customer service – ma fa da PSP (payment service provider) per i retailer che vogliono ingaggiare il motore con un sistema di pagamento immediato che superi il loro. O meglio, lo interfacci. Teoricamente questo passaggio può migliorare il tasso di conversione dell’acquisto sui dispositivi in mobilità toccando le percentuali desktop, acquisendo una piccolissima percentuale per la transazione oppure, come sembra, puntando solo alla valorizzazione delle inserzioni nel box del servizio Shopping. Un mercato ancora tutto da esplorare e dal valore immenso.