La notizia ha assunto pubblica notorietà: un blog, un movente politico, uno scontro che diviene immediatamente caso nazionale. Tutto nasce da un sito web che chiede agli utenti di identificare agenti delle forze dell’ordine, così che la loro identità possa essere rivelata mettendo a repentaglio le operazioni che richiedono forze in borghese ed interventi di persone in anonimato. Il sito usa frasi intimidatorie, dando all’iniziativa un significato preciso nell’ottica di una lotta diretta alle forze armate. In breve il tutto diventa un caso che richiama l’intervento del Parlamento e della DIGOS: il sito diviene irraggiungibile e la notizia passa su tutti i principali tg nazionali:
Le frasi che trapelano dai primi report rendono evidente la portata del caso. Il sito, infatti, avrebbe l’obiettivo specifico di «intimidire il repressore, per farli conoscere alle masse popolari»: ogni poliziotto viene identificato grazie al sito e la sua identità (nonché zona operativa) viene resa pubblica così che in caso di manifestazioni o scontri possa essere eventualmente identificato un operatore delle forze dell’ordine nella massa dei partecipanti. «Farli conoscere è un modo pratico per rendere il loro sporco lavoro se non impossibile, almeno difficile». Sebbene i riscontri reali dell’iniziativa possano essere dubbi, le motivazioni di fondo sono innegabilmente pericolose.
La “caccia allo sbirro” viene messa all’indice dai sindacati della Polizia ed il giudizio sull’iniziativa appare unanime: un qualcosa di pericoloso in grado di minare i principi stessi su cui si basa l’ordinamento nazionale. Le forze dell’ordine diventano un «obiettivo»: «Li hanno seguiti, ripresi con le videocamere, fotografati mentre fanno la guardia ai cortei o tengono d’occhio sit in di protesta davanti alle Procure durante i processi contro la sinistra radicale. E quelle foto, i ritratti di poliziotti in divisa e di funzionari in borghese col distintivo sulla giacca, le hanno riversate sul web».
Il sito è ora sotto inchiesta, mentre nel mirino degli inquirenti vi sarebbe un file pdf (ancora scaricabile dalla Rete) contenente decine di nomi. Il file sarebbe depositato su server Indymedia, da cui giunge peraltro strenua difesa del diritto a perpetrare l’iniziativa in questione: «L’iniziativa di pubblicare foto e, se possibile, generalità di sbirri e infiltrati […] sta suscitando reazioni scomposte e isteriche da parte di polizia e magistratura, nonchè dai diretti interessati che evidentemente si vergognano del lavoro infame che svolgono […]. Il sito poi, di fatto, è oggi irraggiungibile in quanto viene arbitrariamente coperto con altri siti. I media nazionali si sono scatenati per denunciare la “perversità” di tale iniziativa e pare che la Procura di Bologna abbia aperto addirittura un’inchiesta sulla questione. […] Il procuratore bolognese Silverio Piro definisce la vicenda come un fatto di “gravità straordinaria, di cui è evidente il contenuto intimidatorio e cercare di porvi dei correttivi è il nostro compito fondamentale”. Per chi ha ideato e diffuso i contenuti del sito si potrebbe configurare l’accusa di minacce, istigazione e la violazione della privacy. Ma c’è un precedente su Indymedia dei mesi scorsi che si concluse in un nulla di fatto, quando si scoprì che per bloccare le foto degli agenti diffuse sul blog si sarebbe dovuto bloccare l’intero sito».
Lo scontro è dunque frontale. In questo quadro si inserisce un’opinione terza, proveniente dal Parlamento ed utilizzante l’accaduto per sottolineare l’utilità di regolamentare in modo differente la Rete. Le parole sono di Gabriella Carlucci e la proposta di legge è quella nota: «È arrivato il momento di combattere ed eliminare l’anonimato su Internet. Ancora una volta anonimi delinquenti usano Internet per diffamare, dileggiare, schedare, offendere, denunciare. Questa volta ad essere colpite sono state addirittura le forze dell’ordine, schedate e offese da un blogger anonimo. L’ennesimo inaccettabile caso di uso improprio della rete che dimostra quanto urgente e necessaria sia una normativa che impedisca ai farabutti di usare la rete per finalità eversive, coprendosi dietro il paravento dell’anonimato. Spesso le forze dell’ordine svolgono attività investigativa, infiltrandosi nelle organizzazioni sovversive ed illegali. Smascherarli e segnalarli pubblicamente costituisce un grave danno ed un grave pericolo. Occorre un’attività preventiva che impedisca il ripetersi di episodi simili. Spero che la legge anti-anonimato che ho presentato in Parlamento venga presto approvata. Internet non può continuare ad essere il luogo nel quale regna l’impunità e l’illegalità».