La proposta di legge risale ormai allo scorso novembre, ma per la prima volta è arrivata alla Camera solo nella giornata di ieri: «Introduzione dell’articolo 580 – bis del codice penale, concernente il reato d’istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia». Il testo, secondo quanto emerso dalle dichiarazioni rilasciate contestualmente alla presentazione del dispositivo di legge, tenta di porre alcuni paletti per permettere alle autorità di far scendere il silenzio sui siti che promuovono l’anoressia e la bulimia.
Nei giorni scorsi l’attenzione sul problema è tornato ad alti livelli: il problema è sempre più feroce ed anche l’Italia sta subendo la situazione senza avere apparentemente armi per combattere. La proposta n. 1965, presentata da Beatrice Lorenzin e cofirmata da Manlio Contento ed Enrico Costa, si inserisce in questo contesto nel tentativo di limitare l’insorgere di siti che promuovono il problema, facendo leva sul web per assoldare nuove ragazzine con il richiamo diabolico di “ana” e “mia” (diminutivi amichevoli del tutto significativi su quanto il problema possa essere infimo e grave).
Il testo del dispositivo di legge non è ancora pubblicamente disponibile. Occorre pertanto affidarsi alle dichiarazioni rilasciate da Beatrice Lorenzin ad Adnkronos: «Pensiamo di poter avere una corsia preferenziale in Commissione Giustizia per portarla presto “a casa”. Vedremo, in seguito, se ci saranno provvedimenti del Governo in cui incardinarla».
Lo scopo dichiarato è quello di dare alla Polizia Postale gli strumenti adeguati per poter chiudere i siti che istigano gli utenti a cadere nel problema, fino a «Riuscire ad oscurare i 300 mila siti che ci sono in Italia. Sono chat, forum, blog in cui i giovanissimi parlano tra di loro e si danno consigli, per esempio, per raggiungere i 35 chili».
La norma sembra però manifestare alcune ambiguità. Finché non sarà possibile analizzare nei dettagli il testo, ad esempio, non sarà possibile giudicare in che modo la legge verrà portata all’atto pratico, e se il tutto non possa essere una forma di censura che, se mal formulata, possa estendersi ad altre casistiche o comunque creare una testa di ponte per altro oscurantismo estraneo alle buone intenzioni palesate con la proposta contro l’anoressia. Non solo. Dall’intervista sembra trapelare anche la volontà di iniziative differenti ed estranee al web, quali una maggior regolamentazione delle immagini portate sui media generalisti quali la tv: «”Noi proponiamo forme di contrasto, non solo su via telematica, per ostacolare l’istigazione a pratiche alimentari che incitano alla malattia […] Una pubblicità o forme di comunicazione che strizzano l’occhio all’anoressia proponendo modelli di magrezza esagerata, sono sicuramente sbagliate, ma non possono essere reato».
La Lorenzin tira in ballo anche Google, spiegando come vi sia in parallelo una iniziativa propositiva: «Abbiamo parlato con i responsabili di Google Italia e abbiamo trovato disponibilità per l’attivazione di siti di “contro-informazione” positiva per combattere questi disturbi alimentari»: trattasi in questo caso di una via meno rischiosa per le libertà dei espressione e, probabilmente, di un dispositivo di lungo periodo più efficace che non la censura. Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sembra però essere soprattutto dalla parte del pugno duro: «mi auguro che si possa trovare un accordo, anche con l’opposizione, in particolare con le parlamentari più sensibili al problema, ottenere una corsia preferenziale e cancellare questi siti di morte».
Nei giorni scorsi una iniziativa di stampo differente è stata avanzata dal Governo sotto il motto di “Chi si ama ci segua”: il sito Timshel.it è stato presentato dal ministro per le politiche giovanili Giorgia Meloni come possibile alternativa all’informazione distorta presente il rete. Il sito spiega i problemi dell’accoppiata anoressia/bulimia e cerca di offrire un sostegno per quanti in Italia soffrono a causa del problema. All’atto della presentazione di Timshel.it, Giorgia Meloni ha auspicato una normativa valida per ostacolare l’immissione online di informazioni distorte sull’anoressia ed ha proposto un approccio simile a quello francese: 2 anni di carcere e 30000 euro di sanzione pecuniaria potrebbero essere una sanzione sufficiente per disincentivare la disinformazione.