Torino ha tagliato i nastri a Camera, Centro Italiano per la Fotografia. Una inaugurazione in pompa magna, punto di arrivo di oltre un anno e mezzo di lavoro per riconsegnare alla fotografia italiana ed ai suoi protagonisti un nuovo punto di riferimento. Un progetto ambizioso e importante proprio per la strategia che pone innanzi a sé: non un nuovo museo, non un nuovo archivio, ma bensì un ruolo di collante tra tutte le risorse esistenti per dare vita ad un qualità troppo spesso frammentaria, parcellizzata ed incapace di fare sistema.
Camera, Centro Italiano per la Fotografia
Il Centro Italiano per la Fotografia sorge a Torino in Via delle Rosine 18. L’indirizzo è da citare non tanto come riferimento fisico, ma come riferimento storico: proprio nel medesimo edificio, all’interno dell’Opera Munifica Istruzione dell’Isolato di Santa Pelagia, nacque a suo tempo la prima scuola pubblica del Regno d’Italia. Che Camera getti sotto lo stesso tetto le proprie basi sembra essere una sorta di consegna del testimone, trasferendo alla nuova istituzione l’incarico formativo che fu proprio dei fondatori.
Una zona, peraltro, già ricca di riferimenti di altissimo richiamo: si va dal Museo Nazionale del Cinema (all’interno della Mole Antonelliana) al Museo Egizio, passando per Palazzo Reale e varie gallerie private. La Torino della cultura è intessuta tra le strade che costeggiano il Po, ricche di storia e di slancio al futuro: i 2000 metri quadri di Via delle Rosine 18 sono uno spazio che la città recupera e restituisce alla cultura attraverso un investimento che mette assieme il pubblico e il privato trovando partner quali Eni e Intesa Sanpaolo. E tutti gli attori sono pronti a controfirmare il medesimo obiettivo: donare alla fotografia i giusti spazi espositivi ed espressivi affinché si possa recuperare appieno un codice linguistico che rischia di disperdersi nella bulimia di immagini che ha improvvisamente assalito il mondo della comunicazione.
Una ricerca che parte dalla storia e dal metodo, insomma, per costruire il futuro. Ed è proprio il futuro l’obiettivo cardine, che Camera tratteggia tra i suoi eventi ed i propri laboratori formativi che intendono educare anche i più piccini alla fotografia. Anzi, qualcosa che va oltre la fotografia e che entra direttamente nella persona: educare allo sguardo.
Mediante studi, sperimentazioni e attività dedicate alla fotografia, l’offerta culturale di CAMERA vuole stimolare il confronto, suscitare domande e approfondire il racconto della realtà attraverso le immagini. Il linguaggio della fotografia sarà studiato in ogni sua forma in modo trasversale e i risultati messi in mostra senza eccezioni di genere o funzione.
Educare allo sguardo significa spostare il focus dietro l’obiettivo, muovendosi in modo introspettivo all’interno dell’occhio e della mente di chi scatta: significa formare i fotografi di domani, punti di vista fondamentali per la descrizione del presente in favore delle generazioni future.
La fotografia è futuro
A spiegare il senso di Camera è la direttrice del progetto, Lorenza Bravetta: «Viviamo in una società nella quale l’immagine ha avuto il sopravvento», dove «tutti ci siamo appropriati della fotografia». Pur se in possesso di strumenti fotografici potenti e snelli, però, troppe persone sono completamente carenti delle basi culturali (prima ancora che nozionistiche) per comprendere il linguaggio fotografico e per utilizzarlo. Il rischio è quindi quello di avvitare la fotografia su sé stessa, trasformandola in mero documentario della quotidianità, oppure nascondendo dietro i filtri quel che l’occhio, la mano e la creatività non sono in grado di plasmare.
Quel che Oliviero Toscani ha enunciato nei giorni scorsi in occasione della presentazione di un proprio allestimento “Superdonne” in via Montenapoleone a Milano, torna ora nella presentazione di Camera: il ritorno alla realtà si fa fondamentale. E deve essere un ritorno fatto di arte e di artisti, poiché è alle origini dell’interpretazione della realtà che si cela la magia dello strumento fotografico. In questo preciso punto si incontrano il passato dello strumento e il suo futuro.
Camera vuol esserne punto di riferimento e per far ciò intende anzitutto costruire una rete: Camera non è museo né archivio, e se ha una struttura fisica è soltanto per dare un luogo e un riferimento alle installazioni che andrà a proporre nel tempo. Ma la natura del Centro Italiano per la Fotografia vuole essere quella di un ecosistema che consente alle parti di unirsi, parlarsi, dialogare, creare trame. “Fare sistema”, spiega esplicitamente la direttrice Bravetta, partendo dalla digitalizzazione delle immagini per trasformare tutti gli archivi nazionali in qualcosa di univoco e che, partendo dal linguaggio della fotografia, consenta a studenti e ricercatori di ricostruire la storia italiana.
L’obiettivo a lungo termine del progetto è di costruire una piattaforma che consenta a ricercatori, operatori culturali e al pubblico di accedere ai contenuti visivi dei fondi fotografici italiani, convogliati in un sistema archivistico digitale condiviso.
Per arrivare a questo obiettivo occorre anzitutto trasformare Camera in un punto di riferimento consolidato e riconosciuto, hub della fotografia italiana nel mondo.
Una volta costruito un “sistema italia” attorno al mondo della fotografia, ed una volta consolidato il passato attraverso l’intermediazione fondamentale delle nuove tecnologie, ecco che potrà iniziare il futuro così come lo si è pianificato e pensato: la fotografia non è soltanto la prosecuzione nazionale del dagherrotipo e della pellicola, ma è un concentrato di significati che sa andare contro il tempo. Se anticamente lo scatto fotografico era interpretato come un segno di morte che toglieva la vita e la parola alle persone fotografate, oggi lo scatto è invece una alchimia virtuosa in grado di estrapolare l’anima da un soggetto per donarle l’eternità.
Al netto dei cambiamenti tecnologici, a cambiare è stato il modo di guardare e intendere la fotografia, insomma. E cambierà ancora, perché gli strumenti odierni hanno esploso la fotografia in una fiumana di servizi, app, repository e possibilità di condivisione. La fotografia è divenuta la declinazione più immediata del verbo “sharing” e questa sua funzione ne sta forzando i limiti come mai successo prima d’ora. Tuttavia c’è il dovere di recuperare tutto ciò partendo dalla storia, dalle basi, dalle origini: occorre educare le persone alla fotografia affinché la loro testimonianza del quotidiano possa tornare a farsi testimonianza storica e non soltanto documentazione a scopo mnemonico o auto-narrativo. C’è una cultura da ricostruire e da accompagnare se si intende creare attorno alla fotografia un sistema fecondo. Camera nasce a questo scopo e l’unità di intenti che ne ha accompagnati i natali è il marchio di fabbrica e lo spirito che ne porterà avanti le iniziative.
Camera, le fotografie Eni prendono vita
Ambito principale dell’intervento di CAMERA saranno gli archivi fotografici di enti e professionisti che hanno fatto la storia della fotografia italiana, documentando i cambiamenti sociali ed economici del paese.
Pochi archivi sanno raccontare (quasi in modo disilluso) la storia del nostro paese. Uno di questi è quello di Eni, azienda che ha oggi 84000 dipendenti in tutto il mondo ma che è in Italia che ha affondato a suo tempo le proprie radici partendo dalla pianura padana, spostandosi a Sud e quindi varcando il Mediterraneo in cerca di nuovi orizzonti.
Forse è proprio la ricerca di nuovi orizzonti la chiave di lettura dell’affinità elettiva sorta da sempre tra il gruppo del cane a sei zampe e la fotografia. Eni lo ammette esplicitamente nel proprio benvenuto a Camera: la partnership non nasce per motivi precisi, ma perché semplicemente è cosa naturale per Eni promuovere e sposare iniziative che vanno nella direzione della fotografia:
A questo mezzo espressivo ha affidato la propria comunicazione con l’obiettivo di trasmettere immediatezza e trasparenza, senza filtri e mediazioni, lasciando all’occhio e all’immaginazione di chi guarda la possibilità di interpretare e immaginare
Centinaia di migliaia di scatti parte dell’archivio Eni sono tanti piccoli tasselli nei quali si racconta la storia del paese: le scoperte e il rilancio del dopoguerra, le persone e il lavoro, grandi conquiste e paesaggi, il tutto all’interno di orizzonti sempre differenti. E per dare maggior slancio al proprio impegno in Camera, Eni ha voluto dar vita alle proprie immagini animandone il punto di vista: è il dito dell’osservatore a muovere il parallasse che dona profondità agli scatti del gruppo, il tutto all’interno di una installazione dall’immediato impatto emotivo. All’interno degli scatti la fotografia è vista come racconto, ricerca, emozione, relazione: uno strumento linguistico complesso, insomma, nel quale la densità dei significati si stratifica sui singoli dettagli. E sulla storia del gruppo, delle sue persone, del suo paese.
L’installazione Eni presso Camera è oltremodo significativa poiché pensata per portare l’osservatore direttamente all’interno di questa storia, che in qualche modo si vuol condividere. Il tutto è stato realizzato attraverso una installazione multimediale interattiva che tramite la tecnica del parallasse porta l’osservatore “dentro” la scena e gli consente da touchscreen di modificare il punto di osservazione. Il tutto si trasforma in uno storytelling del quale l’osservatore si fa co-protagonista attraverso gli scatti che Eni custodisce nel proprio archivio.
Per Eni questa esperienza esprime un’affinità di pensiero rispetto al valore della fotografia come forma espressiva, significa credere nella potenza dell’immagine come linguaggio universale per rappresentare realtà e per creare visioni e nuovi ed inesplorati immaginari.
Camera: programmi, progetti
La fotografia è l’arte di raccontare grandi storie senza bisogno di parole.
Eni per Camera
Il progetto Camera si divide in quattro filoni fondamentali che procederanno in parallelo:
- Mostre, con tre esposizioni principali all’anno e una serie di eventi complementari; la programmazione del primo biennio è già definita e prende il via con l’installazione dell’artista ucraino Boris Mikhailov;
- Didattica, attraverso workshop, seminari, master e programmi educativi per le scuole;
- Archivi, l’obiettivo più ambizioso: sviluppare una piattaforma multimediale condivisa per la valorizzazione del patrimonio archivistico fotografico nazionale;
- Territori, per creare sinergie con promozione sia per il linguaggio fotografico che per le realtà sul territorio (a partire da una installazione in collaborazione con la Regione Piemonte e dedicata a Langhe e Roero, da breve riconosciute come patrimonio universale dall’Unesco).
Il rapporto con le istituzioni locali (Comune di Torino, Regione Piemonte), partner tecnici quali Leica e il supporto di aziende quali Intesa e Eni sono gli elementi che consentono a Camera di lavorare sulla base di obiettivi estremamente ambiziosi e di respiro internazionale: il Centro Italiano per la Fotografia non vuol essere solo uno specchio nel quale il paese guarda sé stesso, ma vuol essere una finestra dell’Italia nel mondo, punto di contatto e contaminazione tra le realtà internazionali e la grande qualità che il paese sa da sempre esprimere nel suo rapporto con la fotografia.
Come si costruisce un archivio fotografico nazionale
La costruzione di un archivio fotografico nazionale è in assoluto l’obiettivo più altisonante che si pone il progetto. Non ci si arriverà subito e non ci si arriverà in modo improvvisato: la strada è tracciata. Camera, in particolare, spiega di voler contribuire all’implementazione del software Abacvm (Dynamix Italia), «software ontologico per la gestione dei beni culturali, già strutturato nelle sue funzioni basilari e sul quale si stanno apportando upgrade specifici finalizzati alla raccolta sistematica dei fondi che aderiranno al progetto».
Abacvm si candida dunque a diventare un linguaggio comune in grado di far dialogare tutti gli archivi, qualsivoglia sia la loro organizzazione interna, consentendo la mappatura di tutte le risorse disponibili sul territorio per dare corpo e visibilità all’ecosistema fotografico italiano. Camera inoltre è al lavoro con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo «per la messa a punto di un modulo di censimento mirato a costruire una mappatura dei fondi presenti sul territorio e del loro stato attuale, sulla base di criteri scientifici».
Maggiore sarà il numero di enti partecipanti, maggiore sarà la capillarità e il valore del progetto complessivo. Il percorso di costruzione di un ordine unico per tutti gli archivi sul territorio muoverà i primi passi a partire dal 2016.