Si è soliti associare il termine innovazione a quel che verrà, a uno slancio verso il domani, rischiando talvolta di dimenticare che si tratta di un processo in atto, in divenire, che affonda le sue radici nel passato. Da qui lo spunto per l’intervento di Gianmario Verona, Rettore dell’Università Bocconi, sul palco di Campus Party.
Il suo è un excursus che ha inizio con la nascita delle tecnologie legate al digitale, negli anni ’50 del secolo scorso, portando successivamente alla crescita dell’industria del software e di conseguenza all’arrivo di una rete capace di veicolare dati e informazioni a livello globale. C’è poi stato l’avvento del mobile a spingere la miniaturizzazione dei dispositivi, a comprimere la potenza di calcolo di un computer nel form factor di smartphone e tablet. Oggi si parla di cloud, intelligenza artificiale e Internet of Things.
Non un punto d’arrivo, ma un’ennesima fase di transizione, verso ciò che oggi possiamo solo immaginare. Ecco perché iniziative come Campus Party possono risultare determinanti per innescare la scintilla dell’innovazione.
Il digitale assume particolare importanza quando si considera in che modo modifica il nostro comportamento e il nostro rapporto con il concetto di fiducia: se una manciata di anni fa eravamo propensi a rifuggire il pensiero di ospitare un estraneo o di condividere una foto dei propri cari con perfetti sconosciuti, oggi apriamo le porte delle nostre abitazioni grazie ad Airbnb e deleghiamo i nostri momenti privati alle bacheche dei social network. Qualcosa è cambiato, anzitutto dal punto di vista culturale.
Nell’era del digitale, innovazione e imprenditorialità vanno di pari passo: non è più possibile pensare a un’industria in modo stabile, granitico, fermo. Ogni paradigma va messo in discussione, solo così si può innescare lo stimolo per la creazione di nuovi business e nuove opportunità.
In un contesto simile assumono un’importanza fondamentale le competenze. L’intervento di Verona si chiude con l’invito a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Ci sono timori legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale? Sì e sono da considerare legittimi. Alcuni settori ne risentiranno a livello occupazionale? Certamente. Allo stesso modo è però necessario sottolineare come si stiano creando nuove posizioni, di come insorga l’esigenza di nuove abilità e skill.
La storia ci ha insegnato che ogni tentativo di combattere un’evoluzione tecnologica è destinato a fallire miseramente: bisogna piuttosto capire come beneficiarne per fare impresa. Il mondo del business ha bisogno di chi sa innovare, il mondo dell’educazione si deve muovere di conseguenza. Far sì che le giovani menti possano sviluppare un approccio creativo al problem solving consentirà loro di immaginare nuovi modi per fare cose nuove. “La programmazione è il nuovo inglese”, ricorda Verona dal paco di Campus Party.