I colleghi di HTML.it, in collaborazione con Cyber Lex, avevano pubblicato un articolo di approfondimento su come cancellare notizie da Google, descrivendo la procedura di rimozione di contenuti dagli indici di ricerca Google ai sensi della normativa europea sulla protezione dei dati.
La guida descrive le nuove condizioni stabilite dalla legge 134/2011 (cosiddetta Riforma Cartabia): gli imputati prosciolti per assoluzione, archiviazione o intervenuta prescrizione del procedimento, hanno diritto a rimuovere le notizie dagli indici di ricerca per il loro nome, attraverso una annotazione in sentenza che la cancelleria del Tribunale penale inoltra automaticamente al Garante della Privacy.
La rimozione di notizie di cronaca dalle versioni europee dei risultati della Ricerca Google è uno degli strumenti più efficaci di reputazione web, nonché la parte principale del procedimento di pulizia totale di notizie negative da internet – non perdetevi, in tal senso, la guida di Punto Informatico intitolata “Come cancellare notizie da internet”.
La nostra redazione è tornata da Cyber Lex per affrontare di nuovo l’argomento della rimozione di notizie dai motori di ricerca, alla luce del fatto che l’implementazione di applicazioni basate sull’intelligenza artificiale (IA) e l’adozione di recenti orientamenti giuridici hanno significativamente influenzato il panorama del web e la gestione del diritto all’oblio su Internet.
Diritto all’oblio su Google: il cambiamento degli orientamenti giurisprudenziali
In Italia, il Garante per la Protezione dei Dati Personali si è dimostrato particolarmente attivo nell’affrontare alcune le questioni cruciali riguardanti la protezione dei dati personali sui comuni motori di ricerca come Google, sollevando sfide senza precedenti e fornendo indicazioni concrete su come bilanciare il diritto alla riservatezza con la libertà d’informazione.
Uno dei casi recenti più interessanti ha avuto luogo il 6 giugno 2024, quando il Garante si è pronunciato su un reclamo presentato da un magistrato contro Google LLC. La vicenda ruotava intorno alla richiesta di deindicizzazione di due URL associati al nome del reclamante, che richiamavano un procedimento disciplinare risalente agli anni 2000. Sebbene questo procedimento si fosse concluso senza alcuna sanzione, la sua persistenza negli articoli di stampa ancora reperibili online continuava a causare disagio al magistrato, in assenza di un interesse pubblico attuale.
Dopo aver valutato attentamente la questione alla luce dei principi del GDPR, in particolare quelli di minimizzazione e limitazione della conservazione dei dati (art. 5), il Garante ha deciso di accogliere il reclamo. Ha quindi ingiunto a Google di deindicizzare uno dei due URL dai risultati di ricerca associati al nome del magistrato, riconoscendo il diritto dell’interessato a non subire danni reputazionali ingiustificati per una vicenda ormai lontana nel tempo e priva di attualità.
Tuttavia, per quanto riguarda l’altro URL, che conteneva dati pubblicati da un’istituzione ufficiale, Google ha sostenuto di non poter procedere alla rimozione, una posizione che il Garante ha in questo caso accolto.
Un altro interessante recente provvedimento del Garante della Privacy, il n. 275 del 9 maggio 2024, ha rappresentato un ulteriore tassello nella tutela del diritto all’oblio, applicato a una figura che, pur avendo acquisito notorietà in passato, si è poi dissociata dall’immagine pubblica che la caratterizzava. La decisione, assunta in seguito a un reclamo presentato dall’influencer tramite l’avvocato Domenico Bianculli, si è concretizzata nell’ordine a Google LLC di deindicizzare numerosi URL e di rimuovere termini specifici dalle funzioni di completamento automatico e dalle ricerche correlate.
In questo caso, il Garante ha chiarito alcuni principi chiave, sottolineando che il diritto all’oblio non riguarda solo i dati personali associati a figure del tutto sconosciute, ma può essere invocato anche da persone che, dopo aver avuto una breve esposizione mediatica, non rivestono più alcun ruolo pubblico.
È interessante notare come il Garante abbia considerato rilevanti non solo la natura e la pertinenza dei contenuti stessi, ma anche le conseguenze negative derivanti dalla continua accessibilità di queste informazioni. Secondo quanto evidenziato, la reperibilità dei contenuti obsoleti comprometteva le opportunità professionali dell’influencer, soprattutto nei contesti di due diligence condotti dai potenziali datori di lavoro.
Questo provvedimento sembra quasi voler arginare l’ampia discrezionalità che Google si riserva nell’accogliere o respingere le richieste di deindicizzazione per cancellare notizie ed informazioni personali dai suoi indici di ricerca. Infatti, come riportato anche nel Transparency Report di Google, la maggior parte delle richieste di rimozione viene respinta, con l’azienda che privilegia l’accesso pubblico alle informazioni rispetto alla privacy individuale. In questo contesto, l’intervento del Garante diventa fondamentale per riequilibrare il rapporto tra l’interesse commerciale delle piattaforme e il diritto delle persone a non essere eternamente associate a contenuti che, pur avendo in passato attirato attenzione, risultano oggi obsoleti e dannosi.
La decisione sottolinea, inoltre, che una figura con trascorsi da influencer non può essere considerata una persona pubblica a tempo indeterminato, in particolare quando ha cessato la propria attività mediatica e non detiene alcuna carica pubblica. Questo principio, affermato più volte dalla giurisprudenza europea, è fondamentale per distinguere tra chi è esposto per scelta o professione e chi, per ragioni di privacy, ha il diritto di ritirarsi dalla scena pubblica. Il Garante ha così ribadito il diritto dell’individuo di “re-inventarsi” e dissociarsi da contenuti che, oltre a non rappresentare più la sua realtà, incidono negativamente sulle sue prospettive lavorative e sociali.
Questo provvedimento non solo rafforza il ruolo del Garante della Privacy come organo di tutela dei diritti individuali, ma invia un chiaro messaggio ai motori di ricerca: la rilevanza e l’attualità dei contenuti devono essere valutate caso per caso, tenendo in conto l’evoluzione professionale e personale dell’individuo.
L’analisi di questi provvedimenti mette in risalto un filo conduttore coerente: la volontà di garantire un adeguato bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di informazione, rafforzando il principio della proporzionalità e della minimizzazione dei dati personali. In ciascun caso, il Garante ha infatti agito con decisione per affermare che la permanenza online di dati personali, non più giustificata da un interesse pubblico, deve essere limitata e regolata in conformità ai dettami del GDPR e ai principi stabiliti dalla giurisprudenza europea.
Cancellare notizie su internet ai tempi di ChatGPT
Il diritto all’oblio su piattaforme come ChatGPT è un tema nuovo e interessante, soprattutto considerando l’inclusione di funzioni come la ricerca sul web. Qui, il diritto all’oblio richiede una gestione più sfumata rispetto ai motori di ricerca tradizionali, poiché una IA integrata come ChatGPT può accedere temporaneamente a informazioni specifiche, ma non memorizza né conserva link o dettagli personali provenienti da singole sessioni di ricerca.
In ambito giuridico, ci sono aspetti del GDPR applicabili anche a piattaforme AI che richiedono il trattamento conforme dei dati personali e la tutela del diritto alla cancellazione. Tuttavia, il vero diritto all’oblio, come inteso dal GDPR, si applica principalmente alle informazioni che un sistema conserva in modo permanente e può richiedere una deindicizzazione dai risultati di ricerca web. L’AI, come ChatGPT, tende ad avere una struttura di conservazione temporanea dei dati, quindi l’impatto del diritto all’oblio potrebbe essere limitato alle sessioni di utilizzo piuttosto che a un immagazzinamento continuativo di informazioni personali.
Perciò, se una persona desidera tutelare il proprio diritto all’oblio e impedirne la diffusione attraverso strumenti come ChatGPT, il primo passo dovrebbe essere agire sui motori di ricerca. Questo perché ChatGPT, quando utilizza la funzione di ricerca sul web, accede alle informazioni pubbliche presenti nei risultati di ricerca disponibili in tempo reale, senza conservarle in modo permanente.
Rimuovere informazioni dai motori di ricerca, richiedendone la deindicizzazione attraverso strumenti messi a disposizione da Google o dal Garante della Privacy, riduce la probabilità che questi contenuti vengano mostrati nei risultati temporanei di ricerca di ChatGPT. In questo modo, si può ottenere una tutela indiretta anche sulle piattaforme di intelligenza artificiale che attingono dal web in modo dinamico.
Se un’informazione non è più presente nei motori di ricerca (o non è pubblicamente disponibile online), non sarà rinvenibile su ChatGPT tramite la funzione di ricerca web. ChatGPT dipende del tutto dalle fonti accessibili pubblicamente al momento della ricerca, quindi se un contenuto è stato deindicizzato o rimosso da Bing (il motore di ricerca interpellato da ChatGPT), l’intelligenza artificiale non potrà accedervi né menzionarlo.
Per una protezione ottimale del diritto all’oblio, quindi, è fondamentale agire direttamente sui contenuti pubblicati online o sui motori di ricerca, perché ciò limita anche la possibilità che queste informazioni siano rilevate da strumenti di intelligenza artificiale collegati al web.
Il Garante della privacy non si è ancora espresso in tal senso. Un ricorso diretto contro ChatGPT per il diritto all’oblio avrebbe una portata limitata, poiché la piattaforma non memorizza né conserva in modo permanente informazioni personali recuperate durante le ricerche web. Quando ChatGPT utilizza il web, accede unicamente a informazioni pubblicamente disponibili attraverso Bing al momento della ricerca. Di conseguenza, se le informazioni personali non sono più pubbliche o sono state deindicizzate dai motori di ricerca, anche ChatGPT non potrà accedervi o riportarle.
Se un’informazione pubblica è indesiderata, il modo più efficace per limitarne la diffusione è tramite una richiesta di deindicizzazione rivolta direttamente ai motori di ricerca o agendo nei confronti di questi ultimi dinanzi al Garante della Privacy. Questo approccio consente di agire sulla fonte primaria dei dati, riducendo le probabilità che strumenti come ChatGPT possano reperire o riportare tali informazioni.
A proposito di Cyber Lex
Cyber Lex è una società italiana nata nel 2016 da un team di avvocati e tecnici informatici esperti in risoluzione di problematiche legali su internet. Nei primi anni di vita la società si è specializzata in diritto all’oblio, rimozione di informazioni personali da internet, cancellazione di notizie da Google e gestione di progetti di online reputation. Di recente la società si è specializzata in servizi di assistenza tecnica e legale per cancellare dati da Cerved, da World-Check e da altri database contenenti informazioni commerciali e legali su società e persone.
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