Tranquilli, nessuno dei vostri dati o dei contenuti caricati all’interno dei profili Facebook è stato eliminato. Il database a cui ci si riferisce nel titolo riguarda le informazioni raccolte da Pete Warden, un imprenditore operante nel Colorado, e relative ai metodi con i quali 120 milioni di utenti statunitensi interagiscono tra di loro sulle pagine del social network.
Warden ha ottenuto tali informazioni per mezzo di un crawler scritto appositamente per questo scopo, in grado di accedere ai profili pubblici degli utenti senza bisogno di effettuare il login e di carpire i metodi con i quali questi stringono e coltivano relazioni con gli altri iscritti. Il tutto, al fine di generare una gigantesca mole di dati da mettere a disposizione dei ricercatori.
Una volta venuti a conoscenze di tali intenzioni, i vertici di Facebook hanno intimato l’alt all’intera operazione, con la minaccia di ricorrere a procedimenti legali nel caso in cui i dati in questione non fossero stati distrutti. A questo punto Warden si è visto costretto ad alzare bandiera bianca, come annunciato ufficialmente attraverso il proprio blog:
È con dispiacere che comunico di aver distrutto tutte le informazioni raccolte sugli utenti Facebook, ma al momento non dispongo dei fondi necessari per affrontare una battaglia legale di questa entità.
Per raccoglierli mi sono affidato alle indicazioni contenute nel loro file robots.txt, così come hanno fatto numerosi altri siti commerciali, arrivando a reperire le stesse informazioni disponibili anche nella cache di Google.
Warden, prima di procedere alla cancellazione dell’intero database, ha comunque estrapolato alcuni valori utili alla creazione di una mappa, visibile all’inizio del post, che mostra, attraverso nomi di fantasia, quali siano le zone degli Stati Uniti in cui gli utenti sono più propensi a stringere le proprie relazioni virtuali.
Cosa abbia spinto Facebook ad assumere un comportamento così severo, privando la ricerca di dati potenzialmente utili per comprendere la nuove dinamiche del panorama Web 2.0, è presto detto: il social network ha temuto una reazione negativa da parte degli utenti stessi, che avrebbero potuto sentire minacciata la propria privacy, magari da aziende intenzionate a capirne usi e abitudini, al fine di dare il via a massicce campagne pubblicitarie dirette a target specifici.