C’è una guerra silente che si sta combattendo nella mente di molte persone nel mercato del giornalismo e dell’editoria. Si tratta di una guerra senza esclusione di colpi, nella quale però le parti non sono ancora ben identificate e trascinano così nel tempo tensioni e illogicità continue. La guerra è quella tra vecchi e nuovi media, tra vecchie e nuove redazioni, tra vecchi e nuovi giornalisti, tra “vecchio” e “nuovo” senza che non si sappia bene rispetto a cosa si stia ragionando. La guerra è quella che ogni giorno porta i giornali tradizionali a lanciare invettive contro la rete e, al contempo, porta la rete a gonfiarsi di inamicizia nei confronti dei giornali tradizionali. “Siete lo status quo” si contrappone a “siete il nulla che avanza”, ma da questa contrapposizione non sta nascendo molto di interessante a dire il vero.
Tre casi delle ultime ore che, messi l’uno affianco all’altro compongono un quadro generale interessante, descrivono le piccole battaglie che compongono questa guerra tanto silente quanto roboante, tanto innocua quanto fratricida. Sono dichiarazioni, con firme “autorevoli” (e sull’autorevolezza ci si potrebbe nuovamente mettere l’elmetto, perché sarebbe guerra anche su questo termine, sul suo uso e sulla sua opportunità), che lasciano emergere tutta la tensione del momento, le crisi identitarie che coinvolge e la carica di stress che si porta appresso.
Ferruccio De Bortoli (direttore del Corriere della Sera)
«I social network sono un grande e sterile, nella sua immensità, chiacchiericcio: mi chiedo quale possa essere il significato che gli storici possono dare a intere giornate a discutere del nulla. Però è una domanda personale, e avrò la vecchiaia per rispondere a un quesito così profondo… […] Alla fine, per la maggior parte discutono di notizie e inchieste che il più delle volte nascono sui giornali di carta o online, ma soprattutto sulle testate storiche. A volte si discute di qualcosa che non si ha neppure l’umiltà di controllare. Spesso i nostri articoli sui social network sono degli “organismi geneticamente modificati”: nascono in un modo e poi, nel passaparola da telefono senza fili, assumono dimensioni diverse e a volte totalmente in opposizione a quello che era l’intento originario. Ma questo è il meraviglioso mondo dei social network, dove tutti sono convinti di potere fare i giornalisti, e il guaio è che a volte pensano anche di poterlo fare davvero, di avere un ruolo».
Alessandro Sallusti (direttore de Il Giornale)
«Ce la stiamo mettendo tutta per contrastare una crisi che non ha certo risparmiato l’editoria, complice anche la concorrenza di Internet, uno strumento per certi versi benedetto, ma per altri scorretto nel saccheggiare e offrire gratis il frutto del lavoro altrui».
Enzo Iacopino (presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti)
«Basta soubrette, ora le denunciamo. Senza distinzioni di genere (il sinonimo al maschile non lo conosco) o di reti sulle quali si esibiscono. L’informazione è materia delicata. Basta con l’occhio umido e la recitata partecipazione alle tragedie. Basta con il dolore come ingrediente dello spettacolo per fare audience. Basta con le banalità/bestialità dispensate a piene mani, soprattutto nelle tv, da chi si preoccupa solo di come aumentare il personale compenso, passando sopra a diritti e sentimenti (Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea, Melissa Bassi e, da ultimo, Elena Ceste: tanto per citare alcuni casi e tutti coloro i quali a queste vicende sono collegati), anche di persone estranee alle vicende che possono avere un interesse pubblico. L’esecutivo dell’Odg nazionale ha deciso che, senza eccezione alcuna, denuncerà alle magistratura per esercizio abusivo della professione giornalistica quanti galleggiano sul diritto dei cittadini all’informazione, senza dover rispondere a quelle regole deontologiche che impongono precisi doveri ai giornalisti».
L’assenza di criteri oggettivi sui quali dibattere, oltre a fazioni opposte che si contendono un mercato invece di remare nella stessa direzione, rende ognuna di queste opinioni in parte molto vera e in parte molto falsa, rendendo così al tempo stesso del tutto soggettivo il giudizio sulla base del punto di vista dell’osservatore di turno. Ma soprattutto è evidente la confusione in atto nel momento in cui tre giornalisti si pestano i piedi a vicenda: De Bortoli (Corriere.it) che critica i social, strumento sul quale sceglie di esprimeris Iacopino (Ordine dei Giornalisti), ed entrambi si esprimono a loro volta su quel Web che Sallusti (Giornale.it) considera per molti versi maledetto.
Tutto ciò vien gettato disordinatamente nel dibattito nel giro di appena 48 ore, aggiungendo indizi casuali in una situazione di caos che non vede sbocchi. Nelle stesse ore, in occasione di un dibattito in tema economico tenutosi a Cuneo, Sarah Varetto (direttore SkyTG24) rivolgendosi ai giovani in platea ha lanciato un appello che in questo quadro generale appare come una luce in fondo al tunnel: «ragazzi, so che adesso mentre vi sto parlando voi state usando tablet e smartphone. E fate bene: fatelo e fatelo sempre di più. Ma fatelo per capire, per essere informati, non per subire qualunque tipo di messaggio. Fatelo per essere consapevoli. Perché altrimenti chiunque vi farà leggere e credere qualunque cosa. Siate padroni della vostra informazione».