Prende oggi il via a San Jose (California) il secondo grande processo tra Apple e Samsung, ancora una volta nelle aule di tribunale per far valere i propri brevetti. Alla nuova querelle legale dovrebbe però partecipare stavolta anche Google, che dovrebbe testimoniale per aiutare la casa sudcoreana a difendersi dalle accuse di Cupertino. Lo rivela il Wall Street Journal attraverso un nuovo report.
Il nuovo processo vede Apple accusare Samsung di aver violato cinque sue proprietà intellettuali, usandole indebitamente in alcuni dispositivi proprietari (smartphone e tablet). La tesi difensiva del gruppo sudcoreano è però semplice: Samsung non può aver violato alcun brevetto Apple per due ragioni. Innanzitutto, perché usando Android nei propri prodotti ha ottenuto in licenza da Google il diritto di usare le tecnologie contestate, inoltre afferma che il gigante abbia lavorato a tali tecnologie da ben prima che Apple le brevettasse.
È per questo motivo che Samsung avrebbe scelto di chiamare Google per testimoniare a suo favore, quindi al processo potrebbero partecipare diversi ingegneri di Mountain View, tra cui l’ex capo del robottino verde, Andy Rubin:
per contribuire a difendere Samsung, ci si aspetta che gli ingegneri di Google vadano in aula per confutare le argomentazioni di Apple secondo cui l’iPhone ha aperto una nuova strada. Andy Rubin, l’ex capo del business mobile di Google che ha curato lo sviluppo di Android, è elencato come un potenziale testimone. Tra l’altro il signor Rubin ha lavorato per Apple tra il 1989 e il 1992. «Google sarà molto più presente rispetto a tutti i casi precedenti» ha affermato Michael Carrier, un esperto di brevetti e professore di legge alla Rutgers University del New Jersey. «Google contro Apple suona più come uno scontro tra titani nella stessa terra.»
Apple accusa Samsung di aver usato senza le dovute licenze i seguenti brevetti, che includono i collegamenti ipertestuali, la sincronizzazione dei dati in background, le funzioni di ricerca universali di Siri, la tecnologia per l’auto-completamento del testo e lo slide-to-unlock, ovvero quella funzione che permette di sbloccare un dispositivo semplicemente facendo scorrere il dito sull’apposita barra. La casa sudcoreana afferma che tutte tali caratteristiche che si trovano sui dispositivi della gamma Galaxy sono derivanti dal sistema operativo Android, fatta eccezione per lo slide-to-unlock.
Riparte da oggi dunque la guerra legale tra i due giganti dell’elettronica di consumo, che giunge a quasi due anni di distanza dalla chiusura della prima causa, quando Samsung è stata condannata a pagare Apple quasi 900 milioni di dollari per aver usato indebitamente alcune proprietà intellettuali della casa rivale.