Cresce il ruolo di Internet in tutti gli aspetti della vita degli italiani. Il decimo rapporto del Censis sulla Comunicazione parla persino di una nuova era biomediatica: la nostra stessa esistenza fisica è connessa con quella in Rete e ne trae alimento. Il 62,1% degli abitanti nel Belpaese è connesso alla Rete, numero spinto dai social network negli ultimi anni, e oggi anche dagli smartphone.
Per quelle coincidenze che risultano sempre significative, questo report statistico esce nelle stesse ore della notizia – data da Mark Zuckerberg in persona sul proprio profilo – del traguardo di un miliardo di utenti su Facebook. Ed è proprio il social network la vera passione degli italiani, visto che uno su due abita il continente della Big F. Cifra superiore a quella di chi legge i giornali, ferma al 45% (soltanto cinque anni fa erano il 67%) e di chi legge almeno un libro l’anno. Dato sconfortante se si considera che tra coloro che non leggono mai, un terzo sono diplomati o laureati.
Una rivoluzione dalle tante sfumature, che i nativi digitali stanno compiendo a ritmo forsennato e probabilmente con estrema naturalezza e inconsapevolezza, trascinata dal web 2.0, dalla miniaturizzazione dei device, dalla integrazione ormai totale delle piattaforme mediatiche. Nel 2012, le frase «l’ho visto» piuttosto che «l’ho letto» non possono più dare per scontato che si sta parlando di televisione o di un giornale.
I contenuti, la loro reputazione, viaggiano in un flusso costantemente arricchito dai feedback degli utenti che contribuiscono a riscrivere e moltiplicare il dato informativo nell’atto stesso della sua comprensione. Oggi un quarto degli italiani collegati a Internet ha l’abitudine di seguire i programmi sui siti web delle emittenti televisive e il 42,4% li cerca su YouTube per costruirsi i propri palinsesti su misura. E queste percentuali aumentano tra gli internauti di 14-29 anni, salendo rispettivamente al 35,3% e al 56,6%. Così scrive la sintesi del rapporto:
L’individuo si specchia nei media (ne è il contenuto) creati dall’individuo stesso (che ne è anche il produttore). Siamo noi stessi a costruirci i nostri palinsesti multimediali personali, tagliati su misura in base alle nostre esigenze e preferenze. E noi stessi realizziamo di continuo contenuti digitali che, grazie a Internet, rendiamo disponibili in molti modi. L’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizione del sé: l’utente è il contenuto. La diffusione delle app per smartphone e il cloud computing rafforzano la centratura sull’individuo del sistema mediatico.
Gli aspetti individuali di questo cambiamento sono noti, a partire dal problema della privacy, che gli italiani considerano: il 75,4% del campione ritiene che esista il rischio che la propria privacy possa essere violata sul web, ma c’è un 29,3% di cittadini convinti che sia impossibile porvi rimedio, perché in rete non si distingue più tra pubblico e privato. In ogni caso, a proposito del diritto all’oblio su Internet, una grande maggioranza dei cittadini (il 74,3%) è favorevole: ognuno ha il diritto di essere dimenticato e le informazioni personali sul nostro passato, se negative o imbarazzanti, «dovrebbero poter essere cancellate quando non sono più asservite al diritto di cronaca». Argomento molto delicato, che potrebbe – ma spesso non ci si pensa affatto – andare a detrimento dell’altro diritto, quello di essere informati.
Tali dati sono anche interpretabili dal punto di vista economico. Sul web cresce sempre più il consumo fai da te, e per questa ragione Internet è l’unico mezzo ad aver incrementato il volume della raccolta pubblicitaria: +12,3% nel 2011 rispetto all’anno precedente, arrivando a 636 milioni di euro. Attualmente rappresenta ancora una fetta minuscola della torta pubblicitaria (7% contro il 50% della televisione, per intendersi: il cui pubblico coincide sostanzialmente con la totalità della popolazione), ma è un trend consolidato: il 13,6% degli italiani ha fatto acquisti grazie ai banner cliccati sul web.