“C’era una volta l’Agenda Digitale“: deve per forza iniziare così il racconto, poiché di una favola si tratta. Una favola che nasce da un sogno, che incontra un ostacolo, che vede protagonisti positivi e che trova antagonisti in ogni angolo. In questo caso, però, l’elemento magico che risolve tutti i guai potrebbe non apparire e l’orco cattivo, alla fin fine, potrebbe mangiarsi protagonista, sogni e lettori.
La storia che sembrava una favola, infatti, è diventata improvvisamente cronaca ed i sogni sono precipitati in pochi minuti. Ora la realtà da affrontare è ben diversa da quella di soli 2 mesi fa: l’Agenda Digitale rischia seriamente di andare in frantumi, schiantata da una dinamica politica che distrugge tutto quel che tocca.
L’Agenda Digitale è stata approvata per mezzo di un Decreto Legge datato 18 ottobre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il giorno successivo. La legislazione italiana prevede che il Decreto (presto ribattezzato Decreto Crescita 2.0) sia immediatamente attuativo, ma decade se non convertito in Legge entro 2 mesi dalla promulgazione. La scadenza è pertanto fissata al 19 dicembre, data ultima per portare l’Agenda Digitale all’interno della normativa nazionale. Nei giorni scorsi la prima tappa: un maxiemendamento approvato in Senato ha modificato il testo del decreto, avviandolo definitivamente sulla strada dell’approvazione. Strada che, però, è stata improvvisamente ed inaspettatamente interrotta.
Le parole del capogruppo del PDL Schifani sono state chiare: l’astensione delle fila del partito dal voto è una sfiducia nei fatti al Governo Monti. Mario Monti ha così preso in mano la situazione ed ha annunciato che, in virtù del «giudizio di categorica sfiducia» appena incassato, lascerà la guida del Governo immediatamente dopo l’approvazione della Legge di Stabilità. La sensazione, insomma, è che la Legge di Stabilità possa realmente essere l’ultimo atto su cui il Governo potrà ancora incassare il voto di una maggioranza tecnica in Parlamento. Ma se così fosse, non ci sarà alcun “vissero felici e contenti” per l’Agenda Digitale.
La scadenza del 18 dicembre potrebbe avvenire a ridosso dell’approvazione della Legge di Stabilità. Secondo quanto delineato in queste ore, infatti, la “crisi di Governo” sarà ufficialmente aperta a Natale per poi arrivare ad inizio anno con la convocazione delle elezioni a cavallo tra i mesi di febbraio e marzo. Potrebbero non esserci né i tempi tecnici, né probabilmente la volontà, per fare del Decreto Crescita 2.0 una Legge dello Stato e così la scadenza naturale potrebbe mandare al macero Cabina di Regia e tutto quanto fin qui messo a punto. Tutto è ora nelle mani di Napolitano, il quale avrà la responsabilità di sbrogliare la matassa politica per dare una direzione alle sorti del paese.
Nulla lascia propendere per una svolta. Il Decreto Crescita 2.0 contiene (o almeno conteneva) punti molto importanti per lo sviluppo economico e l’Agenda Digitale era uno di questi. Una Agenda Digitale nata zoppa e per molti versi più di facciata che non realmente rivoluzionaria, ma al suo interno prevedeva spunti interessanti quali una nuova attenzione ad e-commerce e Startup. Un segno di forte simbologia, almeno: meglio di niente, quantomeno un inizio. Il maxiemendamento successivo ha svuotato in parte il testo e la sfiducia a Monti ha cancellato ogni velleità. Ora la fiamma della speranza altro non è se non un flebile cerino in attesa della grande tempesta. Ed il grande gelo sta per scendere sul documento 5626, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», nel quale il Decreto è stato catalogato ed archiviato.
“C’era una volta l’Agenda Digitale”: quello che era l’inizio della storia, rischia di essere anche la fine della stessa. Ma chi ha seguito la vicenda e chi ha a cuore la tematica non potrà dimenticare: chi si assumerà la responsabilità di quanto accaduto, e chi prenderà in mano le sorti del paese, dovrà dare su questo fronte risposte immediate, chiare e fattive. Perché l’Agenda Digitale è un dato di fatto che l’Europa pretende, che il destino impone e che nessuno può permettersi di ignorare.