Charlie Shrem, arrestato l’altro giorno a New York con l’accusa di riciclaggio di denaro, si è dimesso dal ruolo di vice presidente della Bitcoin Foundation. È la stessa fondazione a darne notizia, dando la sensazione di voler subito frapporre una distanza con il 24enne implicato nell’operazione della DEA contro la Silk Road, il mercato di droga online del deep web.
La vicenda di Shrem colpisce perché si tratta di insospettabile esperto di Bitcoin che ha ideato una piattaforma di scambio per le crittomonete nella quale prestava direttamente denaro virtuale agli utenti semplificando il processo di conversione in cambio di una commissione.
Il suo arresto mette in discussione la liceità di queste pratiche, soprattutto fa pensare a una sorveglianza molto alta da parte degli organi inquirenti americani, dato che la denuncia, depositata in una corte federale di New York, sostiene che Shrem abbia «consapevolmente» (e tutto sta in questo avverbio) venduto bitcoin a tale Robert Faiella, il quale poi li ha venduti su un forum della Via della Seta.
La Bitcoin Foundation, forse oggi la più importante autorità sulla crittomoneta, ha preso subito le distanze da questa brutta storia, e in un comunicato sul blog il direttore Jon Matonis annuncia le dimissioni, prese di comune accordo:
Come fondazione, dobbiamo rimanere concentrati sulla nostra missione principale di standardizzare, proteggere e promuovere il protocollo Bitcoin. Charlie ha contribuito con grande sforzo personale e risorse a migliorare l’adozione di Bitcoin in tutto il mondo: una disputa legale prolungata avrebbe inevitabilmente tolto energie a questa missione fondamentale. Pertanto, al fine di concentrarsi sul suo processo in corso, è stato deciso di comune accordo che Charlie Shrem si dimetta dal Consiglio di Amministrazione, con effetto immediato. La commissione ha accettato le sue dimissioni.
L’accusa e il processo
Se gli inquirenti dovessero riuscire a dimostrare la fondatezza delle loro accuse, Shrem e Faiella rischiano fino a 20 anni di carcere. Sarebbe il primo caso di un esponente del lato “istituzionale” dei Bitcoin accusato di un reato tanto grave. In realtà, per Shrem i reati sono addirittura tre: a quello legato al riciclaggio si aggiungono anche l’assenza di licenza per la piattaforma di cambio e l’accusa di fallimento doloso. Altri dieci anni. Tutto sta a vedere, ovviamente, se saranno in grado di dimostrare che Shrem fosse a conoscenza delle attività dell’altro arrestato, ma gli altri due capi di imputazione sono sufficienti per dare seri problemi a questo ragazzo che soltanto poche settimane fa rilasciava interviste al New Yorker e al Bloomberg BusinessWeek per spiegare i Bitcoin.
Il Dipartimento di Giustizia, in ogni caso, ha già tranquillizzato gli animi, sottolineando quanto scritto anche nella denuncia della DEA, cioè che l’arresto non deve essere interpretato come atto ostile verso le crittomonete:
I Bitcoin non sono intrinsecamente illegali e sono noti e riconosciuti i suoi usi legittimi.
Il procuratore di Manhattan, sulla cui scrivania è arrivato l’incartamento, ha voluto invece specificare il senso di questa operazione:
I modelli di business innovativi davvero non hanno bisogno di ricorrere al vecchio stile della violazione della legge, e quando i Bitcoin, come qualsiasi valuta tradizionale, vengono riciclati e utilizzati per alimentare attività criminali le forze dell’ordine non hanno scelta e devono agire. Faremo in modo di perseguire coloro che cooptano nuove forme di moneta per fini illeciti.