La maggior parte delle criptovalute, come ad esempio il Bitcoin, non ha un ente centrale che le controlli. Al contrario, il funzionamento è basato proprio sulla decentralizzazione, considerata il valore principale della moneta. Il concetto di “controllo” è dunque differente, poiché afferente a protocolli e regole distribuite, invece che inerenti ad un sistema di regolamentazione centralizzato.
Come vengono approvate dunque le modifiche al suo protocollo? Occorre analizzare, nello specifico, come funziona il Bitcoin: esiste un meccanismo di governance, non gestita da una singola entità. Il meccanismo di submission delle modifiche è dettato dal team di sviluppo che gestisce l’implementazione di riferimento (attualmente, BitcoinCore), la piattaforma usata è Github.
Quando una modifica ha raggiunto un grado di maturità sufficiente, viene testata per il tempo necessario in “testnet3“, una rete parallela alla Blockchain Bitcoin. A valle di questi test (che possono durare anche anni, come per la recente modifica “Segregated Witness”), la modifica viene rilasciata in produzione. Il rilascio in produzione, trattandosi di una rete distribuita, tuttavia non assicura la modifica del protocollo: questa deve essere recepita e approvata dai miner e dai nodi di relaying perché infine venga attivata.
Aldilà dei contenziosi che possono verificarsi a fronte di modifiche importanti, già normalmente questo è un processo lungo, che rende la rete Bitcoin apparentemente “lenta ai cambiamenti”. In realtà, guardando all’evoluzione storica che il protocollo ha subito, si può notare subito come nel tempo questo abbia saputo evolversi anche in modo importante e anche nonostante i lunghi processi di review. La causa di questo è che all’interno di un processo di sviluppo aperto, come quello del Bitcoin, le modifiche sono davvero moltissime, e i contributi arrivano da migliaia e migliaia di sviluppatori indipendenti, rendendo il protocollo estremamente dinamico, nonostante tutto.
Bitcoin come investimento
Diverso è il capitolo investimento. Prima di investire in qualunque asset o criptovaluta, ne andrebbero adeguatamente compresi i fondamentali. In molti hanno rotto questo paradigma, attratti dai corposi rialzi degli ultimi anni del Bitcoin. Si può provare a capire da dove trae valore il Bitcoin, con un assioma: quando si parla di securities, come ad esempio le obbligazioni dello stato italiano, si sa che queste hanno valore solo se “sta in piedi” lo Stato Italiano. Un altro esempio possono essere le azioni. Queste hanno valore solo se l’azienda cui fanno riferimento riporta un buon andamento. L’oro, invece, ha un valore intrinseco, che non dipende dunque dalla presenza di un’azienda con un andamento positivo o negativo. Per questo viene definito un asset nativo. Di solito gli strumenti di investimento dipendono proprio dall’andamento di chi li emette, oltre che dai meccanismi di domanda e offerta.
Ma come funziona, invece, il Bitcoin? Questo, come l’oro (quello vero, non i derivati), ha un solo elemento determinante sul prezzo, ovvero il mercato: il suo valore dipende solo dalla domanda e dall’offerta. Per questo motivo si può considerare che il Bitcoin abbia meno fattori di rischio rispetto agli strumenti di investimento che, oltre che da domanda e offerta, dipendono anche dall’andamento di chi li emette.
Nessuno infatti controlla il Bitcoin, non esiste un ente centrale, e l’emissione non è solo controllata, ma programmata.
Approfondimento redatto in collaborazione con Conio.com