Chi è il cittadino di Internet? Il semplice fruitore o chi, in un certo qual modo, partecipa attivamente alla sua realizzazione ed esistenza?
Il cruciale interrogativo per lo sviluppo futuro della cyber-democrazia è stato sollevato nell’ultimo tentativo di allargare la partecipazione della comunità di Internet all’ICANN. L’ALSC (At Large Study Comitee) ha presentato il progetto provvisorio per la scelta dei rappresentanti della comunità di Internet all’interno dell’ente americano per l’assegnazione dei nomi di dominio.
“Hanno diritto di votare i membri at large del board ICANN solo i titolari di un dominio Internet”. Suona più o meno in questo modo il senso della proposta di democratizzazione dell’ente americano per la gestione dei nomi di dominio, attualmente in discussione alla riunione trimestrale dell’ICANN. Ed è subito bufera a Montevideo (Uruguay), dove l’incontro dell’associazione americana che ha il monopolio dei nomi di dominio è ancora in corso di svolgimento.
Già dalle prossime elezioni (previste nel 2002) i futuri rappresentanti della comunità di Internet presso l’ICANN, non potrebbero essere più designati da qualsiasi utente di età superiore ai 16 anni e dotato di un indirizzo di posta elettronica. Questo della titolarità di una mail per l’identificazione dei votanti, difatti, è il meccanismo ancora vigente ma potrebbe esserlo ancora per poco. Il procedimento, si appresta ad essere buttato nel dimenticatoio insieme all’idea che qualsiasi utilizzatore di Internet sia cittadino della Rete a pieno titolo. In sostituzione di questa concezione, il diritto di voto lo si acquista perché si paga la concessione del nome di dominio all’ICANN mediante la tassa versata al Registar per l’assegnazione dell’indirizzo Web.
Inesorabili le critiche al cambio del volto del cyber-cittadino. L’ICANN, che da sempre deve barcamenarsi tra le accuse di arbitrarietà delle scelte e di poca trasparenza, ora è chiamato a rispondere per questa svolta in qualche misura legata alla ricchezza degli utenti della Rete e che porta ad un drastico ridimensionamento del popolo degli elettori di Internet.
A far ribollire il sangue è l’introduzione di un elemento economico nella definizione di cittadino della Rete, contenuto nella proposta dell’ICANN. Un dominio, costa e, statisticamente, a spendere per gli indirizzi Web sono le realtà commerciali. L’80% delle URL registrate fa capo ad attività professionali.
Che l’ICANN cada nella tentazione solita di mettere la Rete nelle mani dell’industria del Web e del tornaconto economico, dimenticandosi della comunità di Internet? È ciò che pensano a vario titolo tutti quelli che storcono il naso davanti alla proposta dell’ALSC, la Commissione di membri dell’ICANN che ha impiegato 6 mesi di lavoro per partorire il discusso progetto di modifica.
«Penso che il board dell’ICANN non dovrebbe essere solo composto dai rappresentanti di interessi commerciali» boccia così la proposta Andy Mueller-Maguhn, il pirotecnico membro at large ICANN rappresentante degli utenti europei. «Ritengo che l’ICANN dovrebbe svolgere piuttosto un ruolo di mediazione tra gli interessi economici e quelli dei navigatori», prosegue Maguhn, dicendo a chiare lettere in che cattiva luce veda la proposta elaborata dall’ALSC.
Il rischio della proposta del voto in base al nome di dominio è che possa solo rinsaldare (se non accentuare) la presenza dell’economia rispetto alla comunità slegata dal tornaconto diretto al Web. Ed è da qui che bisogna partire con i ritornelli di fondo di ogni comunità. Chi decide? Come fare ad estendere la partecipazione delle decisioni a tutti? Insomma, chi sono i cittadini della Rete? Quanto contano? Ma soprattutto, può un ente che si è auto-designato vertice dell’e-government stabilire da solo chi ha diritto di parola e chi no nelle questioni vitali di Internet?