«Luci soffuse, una poltrona soffice in posizione frontale rispetto alle casse acustiche, una bevanda preferibilmente amara da diffondere delicatamente in ogni anfratto del gusto, la copertina del disco nelle proprie mani, da toccare, da scoprire, da sentirne il profumo, e per i “viziosi” una sigaretta da fumare lentamente, in un’atmosfera accuratamente scelta dal proprio stato d’animo per quel preciso momento; gli occhi socchiusi portano già visioni lontane da ogni luogo e tempo, le orecchie bramose e pronte a cogliere ogni sottile sfumatura timbrica, pronte ad assorbire ogni invisibile onda sonora come si assorbe la meravigliosa attesa prima di unirsi ad un altro corpo. Poi l’abbandono, l’abbandono totale? Musica! Roba d’altri tempi? Forse».
Inizia così la lettera che Matteo Amantia Scuderi, voce degli Sugarfree, ha inviato al blog del Corriere “Vita Digitale”. La lettera incuriosisce per molti motivi. Se da una parte sembra andare controtendenza, dall’altra appare una sorta di manifesto rassegnato di fronte alle distorsioni che l’innovazione comporta. La musica è al centro dell’accorata disanima affrontata, il suo contesto di fruizione è invece la scenografia decadente di un quadro grigio, malinconico e probabilmente un po’ disorientato. La sua disamina è amara, ma precisa. “Senza zucchero”, ma piena d’aroma.
Abbiamo così scritto a Matteo Amantia Scuderi, chiedendo disponibilità ad approfondire il discorso intrapreso con la prima lettera al Corriere. Prima di passare alle tematiche affrontate, però, ecco alcuni stralci della sua lettera iniziale, il cui corpus completo è a disposizione online sul blog Vita Digitale:
«Il “cultore della musica”, colui che ascoltava la musica senza far nient’altro, senza distrazioni o interruzioni, è una figura ormai estinta, troppo fuori moda e fuori epoca per il ventunesimo secolo in cui le ore, un tempo democraticamente distribuite ed impegnate tra il dovere ed il piacere, vengono schiavizzate con il solo scopo di esaudire i desideri del Dio Denaro. I nuovi comandamenti subdolamente marchiati sul nostro inconscio e senza alcuna possibilità di alternativa sono: eliminare i “tempi morti”, allungare e velocizzare i “tempi produttivi”. In questo desolato contesto, il “cultore” ha inesorabilmente lasciato l’udito alla più moderna e dinamica figura dell'”amante della musica”. Colui che nell’era del digitale, della velocità, di internet, dell’mp3 e della pirateria, divora migliaia di canzoni e di artisti esclusivamente nello stesso istante in cui guida, corre, lavora, si nutre, dorme. Non importa se l’mp3, anche ad alta definizione, ha una qualità imbarazzante per via della sua intrinseca compressione del segnale audio, non importa se non possiede alcuna copertina con le sue immagini, i suoi colori, la stampa, le foto e i crediti. L’amante medio ascolta le parole, qualche chitarra e la melodia principale che canticchia plasmandola in uno slogan utilizzabile in un qualsiasi spot pubblicitario. Il tutto incentivato da un fattore fondamentale e inverosimile: È TUTTO GRATIS!! […]
Il progresso è un processo che prescinde dalle scelte o dal modo di essere d’ogni individuo, lo si può solo subire con curiosità o con acredine. Quale sarà allora il futuro della musica? Davvero il supporto fisico e originale, qualunque esso sia (33giri, CD, DVD o l’ipotetica “SlotMusic“- microSd card), scomparirà a favore di un nuovo modo di amare la musica via etere o internet, senza alcun bisogno di toccare con mano l’opera di un artista, senza la necessità di una qualità per la quale ogni artista è alla continua ricerca della perfezione e di ogni sfumatura sonora? […]
Le comodità e l’immenso incentivo alla cultura personale che ci ha regalato la rete sono incalcolabili, così come ha fatto, è inutile negarlo, la conseguente “pirateria”. Forse, anziché pensare di contrastarla, si potrebbe provare ad abbassare drasticamente i prezzi delle opere, o provare a cambiare supporto utilizzando le amatissime chiavette USB, o ancora provare a sensibilizzare il pubblico al supporto musicale, ma soprattutto cercare un modo per rendere più conveniente l’acquisto dell’originale rispetto alla copia pirata».
Teorie nette, taglio intelligente. Valutazioni opinabili, ovviamente, ma con il pregio di non essere edulcorate da alcun luogo comune o posizioni di comodo. Con lo stesso piglio Matteo Amantia Scuderi è tornato sull’argomento rispondendo con grande disponibilità alle nostre provocazioni. Da leggere:
Lottare contro l’innovazione non rischia di diventare una lotta contro i mulini a vento?
«Non credo che con l’innovazione si possa lottare, ma è ovvio che il successo di una determinata tecnologia non dipende solo ed esclusivamente dall’industria discografica ma anche dal pubblico: quel determinato oggetto/supporto diventa uno standard se vende».
Che differenza vedi tra il P2P di oggi e le cassettine degli anni ’80? Dove vedi maggiormente una “strana forma di cleptomania”?
«Il P2P equivale alla cassettina degli anni ’80, con le dovute differenze: la cassetta aveva un costo seppur minimo; la qualità dell’audio era decisamente inferiore rispetto ai dischi; senza la copertina originale non si poteva attingere alle migliaia di informazioni che mette a disposizione internet; la cassettina era comunque un supporto fisico, quindi la differenza di “comodità” era minima. Credo che con il P2P sia venuta a tutti una forma di “cleptomania acuta”».
Quanto e come vendi la tua musica in rete?
«In Italia le vendite online (iTunes su tutti) sono ancora al di sotto di quelle nei negozi e il conseguente guadagno è praticamente irrisorio da ambo le parti a favore del P2P. Pensate che fino a pochi anni fa, per ricevere il disco d’oro, si dovevano vendere 500.000 copie, adesso con 60.000 copie ti premiano col disco di platino»
Dalla lettera al Corriere traspare una certa sfiducia nei confronti delle case discografiche: quali responsabilità hanno le etichette per lo stato attuale della musica?
«Spesso l’innovazione è spinta dalla ricerca di una qualità superiore di un determinato prodotto. È il caso ad esempio, dei film, un tempo acquistabili esclusivamente in videocassetta (un supporto decisamente mediocre seppur affascinante), e che al giorno d’oggi hanno subito un’innovazione qualitativamente superiore con l’avvento dei DVD e dei meno popolari Blu ray, sia dal punto di vista dell’immagine, sia per quel che riguarda l’audio (anche se esistono sempre pareri discordanti). Inoltre anche sotto il punto di vista della “quantità”, i film in DVD sono stati arricchiti da contenuti speciali, interviste, e quant’altro. Così la differenza tra scaricare un film (in formato avi, divx, con un audio mediocre e senza contenuti speciali) e acquistare l’originale, che non costa neanche tanto, considerando i costi di produzione di un film, sta proprio nella qualità del prodotto. Questo è, a mio avviso, il motivo per cui l’industria cinematografica non è in crisi come quella musicale dove invece, la rotta dell’innovazione è stata esattamente l’opposta. Dopo il passaggio incontrastabile dalla qualità analogica, alla più “pulita” ma “fredda” qualità digitale con l’avvento del CD, anziché migliorare la qualità dell’audio, si è passato allo scadentissimo mp3 che favorisce solo la “portatilità” del prodotto, e anche per quel che riguarda i cosiddetti “contenuti speciali”, non è stato fatto quasi nulla per arricchire il prodotto».
Spesso gli utenti sono stati trattati con mano ferma dalle istituzioni: la RIAA ha portato avanti migliaia di denunce e lo stato italiano ha promulgato leggi che hanno portato fino al penale la responsabilità. Cosa ne pensi riguardo questo tipo di atteggiamento?
«A mio avviso questo atteggiamento nei confronti degli utenti che scaricano illegalmente, è sbagliato. Non si possono denunciare tutti gli italiani che scaricano, è impossibile fermare questo processo di illegalità. Piuttosto si potrebbe, oltre ad abbassare i prezzi delle opere, dare al supporto originale una qualità del file e una quantità di contenuti superiore, così da avere una reale differenza rispetto alla copia pirata che continuerebbe a vivere nel web in formato mp3. In questo modo si creerebbe la differenza che c’era tra i dischi e le cassette».
Gran parte del mercato della musica digitale è rappresentato dalle suonerie…
«…penso che il mercato delle suonerie è destinato a scomparire. Tra non molto tutti i cellulari saranno tanto capienti da poter tranquillamente essere in grado di supportare parecchi mp3 utilizzabili anche come suonerie».
Qual è il sentimento diffuso tra gli artisti nei confronti della pirateria e della rivoluzione digitale?
«Il sentimento comune è la tristezza, non tanto per l’illegalità riguardo i diritti e il copyright, cosa che ormai viene presa come un dato di fatto, quanto per la “brutalità” con cui un’opera (che piaccia oppure no) viene convertita in mp3, scaricata, quindi ascoltata insieme alle altre migliaia di canzoni scaricate, ed infine archiviata nella speranza di essere riascoltata esclusivamente durante una passeggiata o più probabilmente dimenticata in un archivio invisibile quanto infinito».
Internet offre realmente maggiori possibilità agli artisti emergenti, oppure le etichette hanno ancora pesantemente in mano la situazione? Cosa ne pensi di MySpace?
«Internet è innegabilmente una meravigliosa opportunità per promuovere la propria musica; l’idea di poter far ascoltare praticamente a tutto il mondo il proprio prodotto, è un vantaggio che fino a qualche anno fa era un’utopia. In particolare con MySpace, si è creata una rete virtuale artistica così ampia, da divenire una forma promozionale praticamente obbligatoria. Non dimentichiamoci però che, seppur parecchio indebolita, la discografia ricopre ancora un ruolo importante sia per la promozione e pubblicità, richiedenti una certa disponibilità economica (la parte maggiore), sia per la distribuzione del supporto fisico».
Anche gli amanuensi contestavano a Gutenberg l’idea di una stampa diffusa ed “industriale”, veloce e su carta priva di valore. Ricordare nostalgicamente il supporto fisico non è più un attaccamento al feticcio che non all’espressione artistica contenuta?
«Gli amanuensi si possono paragonare solo alle attuali macchine che duplicano CD, DVD e quant’altro. Non c’entrano, a mio avviso, con il supporto fisico e con l’opera in sé. Ma è proprio sul concetto di opera che ci si dovrebbe soffermare. Prima del ventesimo secolo la musica si poteva ascoltare esclusivamente “live” (chissà quanti concerti…), poi con la creazione del supporto fisico e del business è nato il concetto di “copia originale” che è un antitesi per definizione. Da qui in poi è rimasto tutto più o meno invariato: la ricerca della qualità (dal grammofono all’hi-fi), packaging sempre più affascinanti e accattivanti (ricordate le copertine dei dischi che si aprivano come un libro o gli Lp colorati?) e supporti per “portare” con sé la musica in giro (cassette o CD). Io credo che ogni persona che acquista (e sottolineo “acquista”) musica, voglia toccare con mano, vedere, ascoltare ciò che ha acquistato. Ma se “l’originale” costa troppo, se è quasi identico all’mp3 pirata, perché lo si dovrebbe comprare?».
Chi salverà la musica?
«Non so se la musica verrà salvata, per il concetto che ho di questa parola. Ribadisco solo che se si alzasse drasticamente la qualità del supporto originale così da creare una eccessiva differenza dall’mp3, se si aumentasse drasticamente la quantità dei contenuti speciali e se si abbassassero drasticamente i prezzi, sono sicuro che varrebbe la pena acquistare l’originale e l’mp3 potrebbe tranquillamente continuare ad esistere come “supporto portatile” e come “banco prova” prima di un eventuale acquisto».