Chi uccide l'industria musicale?

Non è il Peer to Peer ad uccidere l'industria musicale. Indagini più approfondite possono aprire scenari diversi e salvare i "ladri" del file sharing dalla gogna. Forse è l'economia a ridimensionare l'industria
Chi uccide l'industria musicale?
Non è il Peer to Peer ad uccidere l'industria musicale. Indagini più approfondite possono aprire scenari diversi e salvare i "ladri" del file sharing dalla gogna. Forse è l'economia a ridimensionare l'industria

Il Peer to Peer uccide l’industria musicale mondiale che ormai da tre, quattro anni, registra costanti perdite nelle vendite. La battaglia che le associazioni musicali americane (RIAA) e internazionali (IFPI) stanno combattendo contro il file sharing, con denunce che, almeno in America, arrivano direttamente a casa, si basa su questo assunto. I dati, in effetti, sono dalla parte di chi produce musica. Dopo un boom di vendite registrato nei primi sei, sette anni a partire dal 1993, il valore economico del mercato della musica ha subito un lento, ma inarrestabile, declino.


L’effetto Napster, hanno sempre denunciato i produttori: perché i consumatori dovrebbero pagare fior di quattrini per un disco che si trova facilmente in rete gratis? L’equazione, in effetti, non fa una piega, anche se nessuno studio ha mai mostrato una diretta relazione di causa effetto fra le due azioni.


Per andare più in fondo serve però qualche chiarezza sui dati. Tra gli ultimi articoli che fanno le pulci alle dichiarazioni dei top manager della musica, uno sembra diradare un po’ di nebbia. Moses Avalon, sul sito Music Dish, ha ricondotto i termini della questione alle loro radici economiche, cercando di capire quali dati l’industria musicale usa per comunicare la propria crisi.


I dati esaminati riguardano i primi mesi del 2004, mesi in cui la RIAA ha denunciato una previsione di perdita netta del 7 per cento nella vendita dei CD per il 2004. Ma non tutti la pensano così. I dati di CD venduti fisicamente dai negozi vengono calcolati negli USA dalla firma indipendente Soundscan di Nielsen, questa nei primi tre mesi del 2004 ha conteggiato un aumento delle vendite dei CD negli Stati Uniti e nel Canada del 10 per cento. Questi ultimi dati sono calcolati sui codici a barre dei rivenditori e non possono, a meno di clamorose falsificazioni sbagliare.


Allora come è possibile che negli USA, testa di ponte del file sharing, i dati reali evidenziano una crescita del 10 per cento e la RIAA denunci un calo del 7? Il fatto è che, si spiega, i dati della RIAA esaminano gli invii dei CD dai produttori ai negozi, mentre i dati di Soundscan provengono dalle vendite dei negozianti ai consumatori. In più i dati della RIAA si riferiscono al mercato mondiale, e non solo al mercato USA, dove non potrebbero non evidenziare unsa crescita come evidenziata da Soundscan.


Ma il problema rimane: si vende di più ma i negozianti comprano meno? Secondo Avalon, che ha interpellato alcuni esperti del mercato della musica, sta cambiando la catena di vendita della musica. Se prima i negozi acquistavano un gran numero di copie dei CD trattenendole in magazzino, oggi il sistema si avvia verso un alleggerimento della merce ferma: si acquistano meno copie e si tenta di venderle tutte. Un modello simile a ciò che accade nei siti di commercio elettronico, dove è quasi impossibile poter gestire un magazzino e si acquista dai fornitori solo ciò che è già stato ordinato dal consumatore.

Ciò non significa nemmeno che i dati e i lamenti della RIAA siano errati. Il mutamento della catena di vendita dei prodotti può influenzare il giro d’affari del mercato musicale, ma ciò non significa che sia il file sharing, e i software peer to peer che la RIAA combatte, ad essere responsabili direttamente di un suo calo. Alla medesima conclusione sono arrivati anche i professori della Harvard University che hanno escluso un rapporto di complementarietà fra download e mancato acquisto.

I motivi del calo dei profitti delle major musicali, oltre ai mutamenti interni al mercato appena descritti, possono essere riconducibili anche a molti altri motivi: la stagnazione economica dei primi anni del nuovo secolo, il declino di alcuni formati musicali come il CD singolo e la musicassetta, la diminuzione del numero dei CD prodotti, l’aumento dei prezzi ecc.

I dati snocciolati sinora non stanno a dimostrare che bisogna favorire il file sharing di musica protetta, ma dovrebbero portare a riconsiderare con maggiore attenzione un mercato complesso e in continuo rivolgimento. Il file sharing ha fatto emergere alcuni grandi problemi del mercato musicale, dal costo dei CD alle regole di distribuzione, ha aperto le porte alla musica on demand e ai canali di scaricamento legalizzato, ha creato vere e proprie comunità di condivisione di esperienze e conoscenze. Buttare tutto a mare sarebbe un delitto.

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