Quando la CNN avviò il progetto iReport (i primi vagiti nell’estate del 2006, il lancio ufficiale come entità autonoma ad inizio 2008) fu chiara a tutti la quantità di questioni che la cosa sollevava. iReport, infatti, doveva rappresentare l’esperimento del gruppo nel mondo del giornalismo partecipativo, nella notizia che viene dal basso, nell’incontro tra il report di strada e quello giornalistico. Policy chiare e fermi controlli hanno permesso i primi passi dell’esperimento, ma una ulteriore questione è venuta a galla nei giorni scorsi quando la CNN si è trovata a denunciare un proprio “iReporter” per aver abusato del marchio “CNN”.
Il misfatto è tutto nell’accredito che l’utente, tale Robert Paisola, si è fornito in proprio certificandosi come “CNN I Reporter”. Lo ha scritto sul proprio blog, lo ha riportato sul proprio account Twitter, lo ha segnalato sul proprio account Picasa. Ad un certo punto, però, la ripetitività del brand CNN è sfociata in un affiancamento scomodo poiché, in realtà, tra le parti non v’era alcun nesso e Paisola figurava soltanto come uno dei tanti reporter volontari del mondo iReport. La scintilla che ha scatenato la denuncia è nel tentativo da parte dell’accusato di ottenere accrediti e pass per eventi vari: a quel punto la CNN è voluta intervenire con una cesura definitiva e la denuncia è stata il passo intrapreso per porre fine all’equivoco.
La CNN ha denunciato Robert Paisola per violazione di trademark, violazione di contratto e competizione illegale. Quel che emerge è che per l’accusato trattasi di recidiva, con la CNN già firmataria di un accordo di “cease and desist” che avrebbe dovuto porre fine ai tentativi di accredito. Così non è stato e la CNN ha voluto tutelare il proprio brand con una iniziativa legale definitiva.
Gli utenti possono partecipare a iReport, ma non possono accreditarsi in alcun rapporto con la CNN. La CNN, per contro, valuta e certifica il materiale pubblicato, ma non ha mezzi né volontà di valutare e e certificare i singoli reporter in contatto. La differenza tra giornalismo e “report diffuso” è anche in questo aspetto, qualcosa che ai tempi della nascita di iReport era stato vagliato dalle clausole del contratto ma che a distanza di pochi mesi ha comunque portato il gruppo ad una doverosa tutela legale di fronte al primo grave abuso emerso.