Ohio, 2008: una donna, docente in una scuola statunitense, acquista un notebook da un proprio studente per la modica cifra di 60 dollari. Alcuni mesi dopo viene arresta e poi rilasciata in seguito al ritrovamento della refurtiva, grazie all’utilizzo di un software installato sul portatile in grado di intercettare ogni attività eseguita e di segnalare il tutto alla relativa software house. La donna, però, potrà denunciare Absolute Software, l’azienda che ha sviluppato il suddetto software, il cui operato non sembra esser del tutto cristallino.
Ricevuta la segnalazione del furto da parte dell’istituto dell’Ohio, Absolute Software ha dunque dato mandato ad alcuni propri impiegati di tracciare le operazioni eseguite tramite il laptop, al fine di individuare l’indirizzo IP della connessione per segnalarlo poi alle autorità competenti. Gli addetti della società si sono però spinti oltre, intercettando dapprima le comunicazioni via mail della donna ed arrivando poi a registrare le conversazioni della stessa con il proprio fidanzato: una mossa, questa, che potrebbe costare molto caro all’azienda.
Tra le immagini registrare vi sono infatti alcuni scatti osé della cinquantaduenne docente statunitense, ripresa in atteggiamenti inequivocabili durante le sessioni di videochat con il compagno. Tali immagini sono successivamente finite nelle mani delle autorità, le quali hanno provveduto a recuperare il laptop rubato. La donna, profondamente turbata per la violazione della propria privacy, ha dunque immediatamente provveduto a denunciare in tribunale quanto accaduto, forte delle leggi in materia di privacy vigenti negli USA.
Una sentenza giunta negli ultimi giorni firmata dal giudice Walter Rice ha quindi rimesso il verdetto nelle mani di una giuria: per quanto le azioni di Absolute Software siano state mirate esclusivamente alla tutela di un proprio cliente, infatti, il modus operandi della stessa avrebbe violato la riservatezza della donna, sottraendole informazioni riservate ed intercettando le relative comunicazioni. «Un discorso è rintracciare un computer mediante l’indirizzo IP» ha spiegato il giudice Rice, «un altro è violare la legge tracciando le comunicazioni elettroniche del presunto ladro».
La donna, dichiaratasi del tutto estranea al furto del computer dalla scuola ove insegnava, potrà quindi far valere i propri diritti in tribunale. La sentenza definitiva nei confronti della software house è attesa nelle prossime settimane e potrebbe rappresentare un importantissimo precedente nel campo del rilevamento degli oggetti rubati mediante strumenti software, dettando nuove leggi alle società operanti nel settore.