Sono stati almeno 1400 smartphone hackerati da una società israeliana, la Nso, con l’obiettivo di spiare giornalisti, diplomatici, attivisti dei diritti umani, dissidenti politici e funzionari governativi. Nso si infiltrava all’interno di WhatsApp, per poi passare tutte le informazioni raccolte ai governi di almeno 20 Paesi. Quali sono? Per ora sono stati annunciati solo tre, cioè Messico gli Emirati Arabi e il Bahrein. Tutto questo ha portato un colosso come Facebook a fare causa all’azienda israeliana.
Secondo l’accusa i software dannosi venivano distribuiti tramite chiamate audio apparentemente innocue su WhatsApp. Le vittime ricevevano una chiamata audio sull’app, rispondevano e venivano quindi silenziosamente infettati. Si tratta di uno spyware che, una volta infettato il dispositivo, diventava una vera e propria macchina di spionaggio che riusciva ad intercettare le comunicazioni, rubare dati e foto, attivare fotocamere e microfoni ma anche tenere traccia della posizione. Insomma uno strumento pericolosissimo nelle mani sbagliate. Dal canto suo Nso si difende e respinge tutte le accuse tramite un comunicato, in cui si legge:
Combatteremo con tutte le nostre forze per dimostrare la nostra innocenza. L’unico scopo della nostra tecnologia è di fornire strumenti per combattere il terrorismo e il crimine.
Attualmente WhatsApp ha un buon livello di sicurezza, ma che è probabilmente stato aggirato da Nso. La compagnia ha ingaggiato Citizen Lab, società di cybersecurity dell’Università di Toronto per indagare sul caso, scoprendo che tra le vittime ci sono stati almeno 100 giornalisti, donne leader, persone che addirittura avevano ricevuto tentativi di omicidio falliti, dissidenti politici. WhatsApp non appena ha scoperto questa grave vulnerabilità ha sviluppato una patch correttiva dell’exploit. Chiaramente la piattaforma rimane bersaglio di coloro che sono interessati a diffondere fake news, ma ora anche per lo spionaggio interno e internazionale.