Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, usa parole di fuoco contro i big della Rete. Ne mette tre nel mirino, peraltro con una certa precisione: Google, Facebook, Amazon. Dimentica Apple, ma il discorso non sembra scartare a priori nemmeno Cupertino. E l’attacco è frontale, passando per un intervento del Governo:
Google, Facebook e Amazon, per non fare nomi, non pagano tasse in Italia: i paesi europei stanno reagendo, è una sveglia anche per l’Italia e il nostro governo. […] si stima che solo Google dreni risorse pubblicitarie per quasi un 1,5 miliardi l’anno.
L’escamotage è sempre il medesimo, insomma: istillare l’idea per cui i grandi del Web non corrispondano il dovuto al fisco ai paesi entro i quali operano, agendo così in modo anti-concorrenziale e creando gravi problemi a chi agisce invece sul fronte dei media tradizionali.
Dietro le parole di Fedele Confalonieri, però, c’è un discorso ben più ampio, che per astrazione sembra mettere contro non tanto un certo numero di aziende, ma due mondi. Da una parte ci sono i media mainstream, le loro logiche, le loro rendite di posizione e la loro economia consolidata; dall’altra c’è l’ambizione di chi cavalca la rete per arrivare nelle case delle persone (nonché sugli smartphone) e che, spesso anche con una certa spregiudicatezza, vede aprirsi una opportunità storica per far proprio un mercato di altissimo valore.
La guerra dei mondi
Ragionando per astrazione, è sufficiente leggere i nomi in ballo per capire quanto la sfida sia incandescente. Da una parte ci sono infatti nomi quali Google, Facebook o Amazon, tutti interessati in qualche modo a far proprio il mondo della pubblicità e della distribuzione di contenuti multimediali. Se il baricentro della pubblicità continua a spostarsi dalle tv al Web, infatti, in breve gli equilibri saranno scardinati definitivamente, mettendo in pericolo aziende (come Mediaset) che hanno costruito nel tempo il proprio impero al di fuori di quella che è la distribuzione su bit.
Il fronte opposto è quello composto da Mediaset e dalle altre aziende con cui sta trattando. Sky, ad esempio, con cui si sta valutando una ipotesi per la cessione del servizio Premium. Oppure Vivendi, altro nome che sulla lotta al copyright ha costruito gran parte dei propri rapporti con Google.
I fronti rappresentano due concezioni opposte (con i relativi interessi) di intendere il mondo dei media. Due mercati improntati su canoni differenti, che dovranno arrivare allo scontro per stabilire chi abbia il miglior rapporto con l’utenza in cerca di contenuti. Ma questa guerra tira in ballo ambienti e discorsi estremamente ampi: nel giro di pochi anni la corsa ai diritti sugli eventi sportivi potrebbe infatti aprire le porte al Web ed al tempo stesso il ruolo della politica o dell’editoria giornalistica potrebbe veder allentati i propri rapporti con il mezzo tv. Miliardi di euro rischiano di slittare da un mondo all’altro e non è pertanto pensabile che tutto ciò possa accadere nel silenzio di quanti rischiano di perdere di mano le posizioni acquisite.
Il solito discorso delle tasse
Per Fedele Confalonieri si tratta di una sorta di moto continuo, che con cadenza ciclica riporta in auge il tema caro al numero uno di Cologno Monzese: i big della rete si stanno facendo largo grazie al favore di istituzioni che non frenano la spregiudicatezza delle pratiche fiscali portate avanti dalla Silicon Valley.
Il tema non è certo privo di argomenti solidi: è risaputo come la debolezza dell’UE su questo fronte, e l’eccessiva frammentazione legislativa tra i paesi membri, consenta un gioco di rimbalzi che, lungi dal rendere illegali le pratiche dei grandi gruppi, ne autorizzano al contrario l’impostazione. Ipotesi di “web tax” sono giunte da più parti, senza trovare al momento uno sbocco in grado di garantire tanto la giusta fiscalità alle operazioni, quanto la necessaria libertà d’azione per quanti investono nel paese portando una ventata di freschezza e nuovi modi di pensare il business.
Puntare sulle mancanze di Google, Facebook e Amazon di fronte al fisco è tuttavia tema forte, in grado di far presa soprattutto sull’opinione pubblica (e per ricaduta su parte del fronte politico):
il nostro Governo faccia seguire i fatti al progetto di tassare alla fonte i ricavi dei gruppi americani nel nostro Paese
Un giro di vite sul regime fiscale dei big della Silicon Valley probabilmente arriverà. Ma sarà comunque tardivo: la cultura del Web ha attecchito e solo chi ha rendite di posizione sul terreno del Web potrà farle valere. Il risultato potrebbe essere infine quello di un mercato nel quale le opposizioni diventano collaborazioni, ove ognuno collabora coltivando il proprio orticello, ma dove i flussi di denaro son destinati a trovare nuove vie e nuovi equilibri.
Non è solo una questione di tasse, questo è chiaro. Ma è questo l’argomento migliore da affidare ai microfoni di una agenzia di stampa, in attesa che Netflix arrivi e renda improvvisamente Sky e Mediaset Premium obsoleti. Perché il rischio, alla fine dei conti, è esattamente questo: ritrovarsi vecchi e ricchi, ma con la necessità di rincorrere le nuove rampanti proposte che emergono da un mercato mai frizzante come in questo decennio.