Confindustria Cultura Italia si schiera dalla parte di Dario Franceschini e difende il ministro dal tiro incrociato di quanti in questi giorni hanno attaccato il decreto che aggiorna le tariffe sull’equo compenso. Il dibattito di questi giorni è stato in molti casi sterile: accuse poco circostanziate hanno fatto il paio con argomentazioni deboli da parte del ministero, generando un dibattito poco utile alla comprensione dello stato dei fatti. Marco Polillo, voce di Confindustria, ha voluto così gettare la propria opinione nel calderone, portando nuova legna al fronte dell’equo compenso per copia privata.
Polillo punta anzitutto sul contesto in cui nasce la revisione dell’equo compenso in Italia, spiegando come in tutta Europa spiri medesimo vento: «È una falsa rappresentazione quella che vede l’equo compenso come una tassa sull’innovazione e nemica dei giovani consumatori di tecnologie digitali. L’adeguamento del compenso, peraltro a standard meno elevati di Paesi leader nella produzione di contenuti come Francia e Germania, è un processo in atto in molti Stati membri. Prima dell’Italia hanno adattato il compenso a smartphone e tablet, oltre ai già citati Francia e Germania, anche Austria, Olanda, Belgio e Svezia».
Il presidente di Confindustria Cultura Italia porta però avanti anche una difesa più mirata, che mette nel mirino una delle accuse più comuni contro la firma di Dario Franceschini: il decreto non terrebbe in considerazione l’evoluzione del settore, l’imporsi dello streaming e la decadenza dello storage come unità di misura della musica consumata. Spiega a tal proposito Marco Polillo: «La Svezia, mercato leader nello streaming musicale, con il 70% del mercato che genera ricavi da questo segmento (IFPI 2013), lo scorso anno ha approvato una revisione della norma che include smartphone e tablet nel compenso per copia privata. Nella stessa Francia i consumatori che utilizzano lo streaming sono il 36% (Ipsos) e nel 2013 anche qui sono state elevate le tariffe su smartphone e tablet, molto al di sopra della media italiana. Insomma non è vero. Come non è vero il fatto che questo compenso frenerebbe lo sviluppo digitale in Italia: è smentito dai dati sul mercato dei device di altri Paesi dove già si può misurarne l’impatto».
La difesa a tutto campo di Confindustria serve anche a tutelare dal tiro incrociato la SIAE: «La società ha solo un mandato per legge di incassare tale compenso ma l’intera somma viene poi ripartita agli aventi diritto, ovvero autori, editori, artisti e imprese del settore, direttamente o tramite altre collecting».
Accuse rimbalzate al mittente, insomma. Il dibattito non sembra smuovere però le parti di un solo centimetro, il che non promette bene per il futuro: l’equo compenso continuerà ad essere visto come un “risarcimento” per un fronte e come una tassa indebita per il fronte opposto.