Corrado Calabrò, “il Presidente dell’Autorità per le Comunicazioni”, in una recente intervista a Repubblica, ha indicata la sua strada per portare l’Italia a competere nel settore della banda larga. Maggior uso della fibra ottica al posto del vecchio e logoro doppino di rame, questo in sunto la posizione del presidente.
“La vera sfida per il mercato italiano”, spiega Calabrò, “è la rete a banda larga a 100Mbit”, quella che è chiamata universalmente Next generation network. In parole povere si offrirebbe all’utente un’ampia gamma di servizi di ultima generazione che spaziano dalla TV, al VoIP, alla navigazione classica, grazie alla possibilità di usufruire di molta banda.
Ma per fare questo, è necessario portare la fibra direttamente a casa dell’utente. Telecom sta già sperimentando qualcosa a Milano e Roma, ma ovviamente queste tecnologie devono essere alla portata di tutti o quasi.
I costi sono alti, sino a 15 miliardi di euro stando a quanto dice l’AGCOM.
E non è solo un problema economico ma anche un problema “pratico”. Infatti la posa della fibra significa lavori stradali, buchi, cantieri che spesso e volentieri il comune o non autorizza o rende difficoltosi.
Per questo problema, Calabrò sembra avere le idee chiare, per lui la soluzione sta per “Dia e servitù coattiva“.
La Dia altro non è che la dichiarazione di inizio di attività e servitù coattiva è lo status che si da alle opere di pubblica utilità.
Come dire che la fibra è un bene primario come fogne o rete elettrica e deve avere la priorità su tutti i problemi burocratici e infrastrutturali.
Ma ovviamente questo non basta, Calabrò sottolinea anche che per raggiungere questo ambizioso obbiettivo sono necessari altri aspetti.
In primis la presenza di altri operatori alternativi a Telecom che si adoperino allo sviluppo della fibra in Italia. Ancora l’integrazione di reti già presenti nel territorio (private o pubbliche di piccoli comuni).
Infine, un “aiuto” da parte dello Stato italiano con detassazioni e snellimenti burocratici per queste opere.