La Corte Costituzionale ha emesso l’attesa sentenza sulle norme a fondamento del potere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in materia di diritto d’autore. Era la prima volta che Internet giungeva davanti al giudice delle Leggi, attraverso quesiti che riguardano la rete ed i rapporti che in essa si sviluppano. Occasione che molti esperti erano sicuri non sarebbe stata pienamente colta, ed è andata proprio in questo modo: secondo i costituzionalisti, non si può chiarire la fondatezza o meno delle questioni dell’ordinanza del Tar perché sono contraddittorie. Tra le righe però si intuisce una lacuna grave sul regolamento Agcom contro la pirateria.
La Corte Costituzionale ha emesso la sua sentenza (pdf) dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sul regolamento Agcom. In pratica la decisione di inammissibilità è una non-decisione, che consente ad esempio di rinviare nuovamente la questione di Costituzionalità di quelle, e delle altre norme poste alla base del suo ragionamento sul diritto d’autore. Lasciando tutto nell’incertezza giuridica in cui verte l’antipirateria italiana col discusso regolamento dell’authority. Questione complessa da punta di diritto, ma in sostanza il Tar – presso cui sono state portati i ricorsi delle parti (Altroconsumo, Anso, Confindustria Cultura e Siae) – si ritrova a dover ripensare la questione rimandata e molto probabilmente tutta la vicenda passerà per il Consiglio di Stato e molti altri processi nelle varie sedi, forse fino di nuovo alla Corte in una nuova forma.
Chi ha vinto?
In soldoni, si potrebbe dire che ha vinto Confindustria Cultura, cioè i detentori di contenuti che hanno sempre appoggiato – anzi, in pratica anche collaborato a scrivere – il regolamento dell’Agcom, respingendo l’accusa che si tratta di un regolamento costoso e inefficace. La sentenza di non ammissibilità rimanda infatti per molto tempo ancora una possibile soluzione del dibattito, che non è tanto sulla sua efficacia quanto sulla reale possibilità legale per l’authority di occuparsi del contrasto alla pirateria chiudendo i siti con ordinanze agli Isp.
Il presidente Marco Polillo, subito dopo la sentenza, ha commentato:
Per l’industria culturale italiana, che punta molto sullo sviluppo dell’offerta legale di contenuti online e il contrasto all’illegalità diffusa su internet, questa pronuncia va salutata con soddisfazione. Mi auguro che questa sia la parola “fine” per questo conflitto permanente sul Regolamento.
I ricorrenti invece sottolineano come nei meandri del pronunciamento si trovano tutti i punti dolenti denunciati in questi anni dal momento che le norme poste dall’Agcom alla base del suo regolamento, in sé considerate, non attribuiscono in maniera specifica tale potere anche secondo i giudici. Si legge nella sentenza:
4.1.– Occorre preliminarmente osservare che le disposizioni censurate non attribuiscono espressamente ad AGCOM un potere regolamentare in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”.
E ancora:
A prescindere da ogni considerazione sulla accuratezza della ricostruzione del quadro normativo e della interpretazione datane dal rimettente, è evidente che nessuna delle disposizioni impugnate, in sé considerata, dispone specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del regolamento impugnato nei due giudizi davanti al TAR. Esso è desunto dal giudice a quo, in forza di una lettura congiunta delle previsioni sopra esaminate, che non risulta coerentemente o comunque adeguatamente argomentata.
Secondo l’avvocato Fulvio Sarzana, che ha seguito il ricorso e portato all’attenzione della Corte la questione di legittimità costituzionale, la sentenza può voler dire una sola cosa:
Che non vi sono norme che attribuiscono specificatamente ed in maniera sufficientemente chiara il potere di emettere un Regolamento all’Agcom.
Perché allora non è stato deciso nulla? È lo stesso Sarzana a spiegarlo:
Prima di procedere all’esame del merito, la Corte Costituzionale verifica che il provvedimento dello Stesso giudice non abbia difetti formali nella sua formulazione, ovvero che non vi sia, in estrema sintesi, contraddittorietà in ciò che ha scritto il Giudice che ha rimesso la questione alla Corte.
In altre parole la Corte adotta un filtro preliminare per verificare che non vi siano difetti formali che impediscono alla Corte di decidere della Costituzionalità delle leggi ad essa sottoposte, per esempio se il Giudice si è contraddetto nei passaggi dell’Ordinanza di rimessione, se lo stesso non ha individuato correttamente i parametri costituzionali, se non ha adeguatamente motivato la sua scelta, e cosi via. Ed in genere, la Corte è estremamente severa nel valutare questi requisiti.
Severità che è dovuta al fatto che la Corte avrebbe dovuto decidere su un campo assai più ampio della remissione del Tar, ma in generale sulle comunicazioni elettroniche. E si ricasca nel solito vecchio problema: che ragione direbbe di attendere una norma primaria, mentre l’authority è troppo attratta dall’utilizzare il suo regolamento nel frattempo, registrando la soddisfazione dei detentori di copyright.
La vicenda non finisce qui. Sempre ammesso che in un mondo di streaming tv, popcorn time e quant’altro non si stia davvero parlando dell’archeologia del contrasto alla pirateria.