Cos’è Facebook? No, non è una domanda retorica. E nemmeno un intercalare. E non si pensa nemmeno sia una domanda da poco. Perché c’è chi pensa che sia una piattaforma, chi pensa sia semplicemente uno strumento, e chi pensa sia un vero e proprio luogo virtuale. C’è chi ritiene possa essere una community, chi invece intravvede soltanto un’espressione estesa di individualismo interconnesso. Facebook è questo, tutto e nulla. Ma capire cosa sia Facebook non è una cosa da poco, perché dalla sua definizione derivano oneri e onori, diritti e doveri. E quando ci si trova di fronte a questioni delicate, una vera e condivisa definizione sarebbe qualcosa di sostanziale nel derimere ogni problematica. In queste ore, ad esempio.
La vicenda è quella di Rassegna Stanca, firma del web italiano che ha visto il proprio account rimosso a forza da Facebook. A seguito di tale iniziativa è rapidamente esplosa la polemica, così che Facebook si è nuovamente trovato, a torto o a ragione, al centro della polemica. Nuovamente. Innegabilmente c’è una sorta di elemento acceleratore attorno ai dibattiti incentrati su Facebook: il brand è diventato un fenomeno extra-web, conquistando le prime pagine più con la forza della propria pervasività che non in conseguenza della reale portata dei fatti. La nuova vicenda che ha portato all’annullamento di uno speciale account, però, tira in ballo considerazioni di ben più vasto spessore rispetto al passato, ed è per questo che occorre anzitutto ripercorrere i fatti.
Il riassunto più completo è quello di Repubblica.it, dal quale emergono le parole degli stessi responsabili di Rassegna Stanca. Tutto inizia con l’apertura di un profilo su Facebook utile a condividere con i fans di Rassegna Stanca parte dei contenuti. Essere su Facebook significa dar linfa al passaparola, significa portare i contenuti direttamente sotto gli occhi della community e significa altresì mettere a disposizione i contenuti sotto una forma nuova ed utile a vari tipi di interazione e condivisione. «Fila tutto liscio finché sulla home page di Rassegna Stanca non viene caricato, sotto il titolo provocatorio “Un editoriale ultrasottile”, il corsivo apparso in prima pagina sul quotidiano Avvenire di ieri che spiegava e giustificava le parole di Benedetto XVI. […] L’articolo del giornale di ispirazione cattolica è stato ripreso parola per parola, cambiando appunto soltanto il titolo, e ha messo in moto uno scambio di idee appassionato, ma comunque pacato e non offensivo, coinvolgendo tantissimi utenti di Fb».
A questo punto manca un tassello nello sviluppo logico della storia, ma i fatti compiono un passo avanti: l’editoriale viene rimosso dal social network. Non se ne conoscono le cause, e l’unica motivazione addotta è relativa al fatto che «questo comportamento può infastidire altri utenti». Quali utenti si intendano offesi nell’avviso e quali siano le origini della segnalazione che ha spinto alla rimozione (non è ipotizzabile un controllo puntuale e manuale), non sono cose date a sapersi. Rassegna Stanca, superando ogni dubbio, ha ripubblicato il medesimo contenuto. Ma a questo punto Facebook ha calato la scure in modo più deciso sospendendo in tronco l’account.
«Abbiamo rimesso in piedi la redazione di Rassegna Stanca abbiamo avvertito gli amici della censura e nel giro di poche ore abbiamo ricevuto centinaia di messaggi di solidarietà, anche se ovviamente non siamo in grado di riallacciare i contatti con tutti i 5.000 lettori della nostra rassegna che Fb ci ha tolto. Questa censura, comunque, è gravissima e per questo abbiamo deciso di organizzare tre giorni di sciopero virtuale, sospendendo fino a domenica le pubblicazioni. È assurdo che una vicenda commentata da tutti i media internazionali non possa essere discussa su Facebook, in maniera peraltro certo molto laica, ma anche molto corretta». Qui terminano i fatti, qui inizia la polemica.
Il passato della censura su Facebook è variegata ed è difficile ricondurre il tutto ad un sistema univoco. Alcune sospensioni sono state dettate da meccanismi automatici di controllo, altre da analisi sistematiche di immagini in archivio, altre ancora in seguito a segnalazioni di non meglio precisata natura. Alcune, probabilmente, dettate da algoritmi analizzanti il testo ed identificanti la ripetitività di parole problematiche o censurabili. Nell’impossibilità di identificare un sistema univoco di controllo, è impossibile risalire al di là di ogni ragionevole dubbio alla procedura (ed eventualmente ai “mandanti”) che ha portato all’eliminazione dell’account di Rassegna Stanca.
Procedure a parte, ed evitando di fossilizzarsi sul caso specifico, la riflessione vuole rivolgersi piuttosto all’interrogativo a monte di tutto: cos’é Facebook? Perchè in questa domanda c’è tutto il resto, compreso l’interrogativo di fondo che ha animato le polemiche di queste ore: con che diritto Facebook proibisce, rimuove e censura?
Nell’ipotesi per cui Facebook sia da considerarsi semplicemente un’azienda privata che gestisce il proprio spazio sul Web, allora è difficile mettere in discussione una decisione di questo tipo. Facebook ha tutto il diritto di imporre le regole che preferisce, e chi non è d’accordo può semplicemente alzare i tacchi e gravitare altrove per le proprie attività “social”. Nell’ipotesi per cui Facebook sia anzitutto una community, invece, un discorso similare sarebbe invece del tutto erroneo: una community gestisce con altri meccanismi le proprie censure interne, quindi una decisione dall’alto non potrebbe essere accettata di buon grado. Chi ritiene il social network un “luogo della rete” offre al gestore del sito sostanziale padronanza delle leggi che regolamentano il luogo stesso; chi considera Facebook un servizio, ritiene semplicemente di poter alzare la voce per avvertire altri utenti dei pericoli che l’uso potrebbe determinare. Chi, ancora, ritiene Facebook come una espressione personale all’interno di un gruppo “tribale” rivendica i propri diritti e considera ogni censura non motivata come una violenza vera e propria.
La definizione non è dunque cosa da poco, perché implica l’assegnazione del diritto ad imporre un regolamento. Da parte sua, ufficialmente Facebook limita a poche righe la propria normativa interna e la formula adottata è un ibrido tra le ipotesi antecedenti: si lascia alla community la facoltà di segnalare eventuali contenuti offensivi, ma si riserva la facoltà di emettere la sentenza:
«Nonostante i controlli continui che Facebook esegue sulla sicurezza e sulla privacy, non possiamo garantire la completa assenza di materiali illegali, offensivi, pronografici o comunque inappropriati, o che i membri non riscontreranno condotte inappropriate o illegali da parte di altri utenti. Di conseguenza, è possibile che vengano trovati tali contenuti o riscontrate tali condotte. Cliccando sul link “Segnala”, che troverai in diverse pagine del sito, puoi aiutarci a individuare la presenza di immagini oscene, pornografiche o casi di comportamenti offensivi. Se fai una segnalazione mediante l’apposito strumento presente nel sito, Facebook si impegnerà a rimuovere eventuali contenuti o condotte offensive e avviserà o, se necessario, bloccherà l’accesso al sito da parte di coloro che hanno trasmesso tali contenuti o perpetrato tali condotte entro 24 ore dalla ricezione della segnalazione». Un apposito link viene messo a disposizione di quanti intendono contestare una procedura facendo riferimento all’ISEE (Independent Safety and Security Examiner), con una precisazione specifica messa nero su bianco nel regolamento: «Facebook è il solo responsabile della gestione delle lamentele. Tutte le lamentele o le segnalazioni di comportamenti inadeguati devono essere inviate direttamente a Facebook tramite le procedure descritte in questa pagina».
Trattasi di una questione molto delicata per Facebook. Perché, come in ogni sistema complesso, la definizione delle regole interne determina la direzione e le modalità di crescita del sistema stesso. Se Facebook sbaglia, insomma, sarà il primo a pagarne le spese. Per questo motivo ha messo il regolamento nelle mani dell’utenza, chiedendo una collaborazione in prima persona da parte di chi intende collaborare alla definizione delle norme della community a cui sente di appartenere.
Alla luce di tutto ciò: è giusto che Facebook, a prescindere dai contenuti, abbia eliminato l’account di Rassegna Stanca? La risposta è probabilmente individuale, in base al modo in cui si intende Facebook. Ma ad un risultato occorrerà arrivare, perché le regole hanno una valenza relativa all’interno del social network, ma hanno una valenza di ben altra portata all’esterno. Perché c’è anche chi potrebbe considerare Facebook un editore, e quindi legiferare di conseguenza…
Non è un caso se in tutte queste righe si pongono tante domande ma non si offrono risposte. Questo perché, se ci si sofferma sui casi specifici, le valutazioni possono essere molteplici e difficilmente riconducibili ad una regola universale. Ognuno, ad esempio, può giudicare se sia giusto o meno cancellare dal network ogni singola immagine di seno femminile, senza distinguo; ognuno può giudicare se sia giusto o meno cancellare video opinabili su Emilio Fede; ognuno può giudicare a modo proprio l’opportunità o meno di tenere in vita gruppi inneggianti ai «fucili» per «fermare i gommoni», gruppi a cui account di ispirazione politica non nascondono il proprio appoggio; ognuno può giudicare come vuole i gruppi inneggianti alla mafia o i singoli messaggi di stato caricati sui singoli account.
I casi specifici legano la valutazione specifica all’opinione, eventualmente all’etica, occasionalmente alla morale. possono scaturire, al massimo, in una segnalazione di abuso: metodo puntuale per porre all’attenzione del network una pagina che si ritiene inopportuna. La legge generale a cui tutto dovrebbe ispirarsi, però, dovrebbe partire da un quesito più generale e fondamentale, un qualcosa che, a priori, dovrebbe stabilire il contesto nel quale tutto ciò va a concretizzarsi. Cos’é Facebook? Un sito o un luogo? Un servizio o una community? Un editore o uno strumento? Perché è difficile risolvere un problema, se prima quantomeno non lo si definisce.