Si chiama Double Irish With a Dutch Sandwich ed è lo stratagemma che permette ad Apple e altre corporation di ridurre al minimo l’imposta sul reddito fuori confine: si indirizzano i profitti verso l’Irlanda e i Paesi Bassi (e poi da lì verso altri lidi) togliendo tali cifre dall’ammontare su cui si vanno a versare le tasse al fisco. Risultato? Quello emerso da un reportage del Sunday Times: Cupertino ha pagato quest’anno 713 milioni di dollari in tasse su redditi prodotti all’estero di 36,8 miliardi. Non avrà di che lamentarsi.
Che uno dei più straordinari colossi tecnologici con profitti a nove zeri paghi di tasse una cifra che servirebbe ad acquistare a malapena una squadra di calcio di Serie A con debiti annessi, è evidentemente clamoroso. Questo è il punto nodale dell’irritazione di molti governi verso queste realtà private, ma anche delle loro debolezze. Basti pensare al caso dell’imposta sugli ebook: Francia e Lussemburgo attirati dalle sirene di Amazon e la Commissione Europea pronta a multarli. Oppure quanto sta accadendo in merito a Google News, con i francesi stavolta nella parte di chi vorrebbe battere cassa ai giganti californiani, con italiani e tedeschi che attendono interessati.
La questione è sempre la stessa: queste società producono redditi incredibili, ma pagano pochissime tasse perché se negli Usa l’aliquota del 35% è troppo alta, alcuni paesi europei hanno legislazioni adatte a migrazioni – perfettamente legali, s’intende – in cerca di aliquote più basse.
La Apple ha aumentato i propri guadagni del 53% rispetto al 2011, ma pagherà, paradossalmente, meno tasse perché è riuscita a ridurre l’imposizione tramite raffinati movimenti contabili che, di fatto, scongiurano una logica fiscale che dovrebbe essere abbastanza consolidata: pagare le imposte sul reddito a seconda delle leggi del paese dove vendi i tuoi prodotti. Invece, secondo i dati riportati anche da Forbes – che pubblica anche la dichiarazione dei redditi di Apple (PDF) – e rimbalzati sulle agenzie, i soldi lasciati all’estero dalla mela morsicata e praticamente esentasse ammontano oggi alla cifra iperbolica di 82,6 miliardi di dollari. Il 30 giugno erano 74.
C’è da dire che la Apple, rispetto ad altre corporation, ha più stile: ogni anno riserva una parte di questi profitti in una voce a bilancio soggetta alla tassazione futura americana, quando questi soldi torneranno a casa. Tuttavia anche qui c’è il colpo di genio: questo trucco permette di inserire questa parte di profitti alla voce passività (anche se in realtà queste tasse non sono ancora state pagate) così da abbassare la quota imponibile interna. La Associated Press calcola questa cifra in 10,5 miliardi di dollari, che la Apple preferisce non far sparire all’estero per una questione di «reputazione».
L’economista Tim Worstall, sempre su Forbes, così commenta questi dati sorprendenti:
La Apple paga il 2% di tasse e lo fa del tutto legalmente, senza nemmeno un accenno di evasione fiscale. Per questo non è un’aberrazione: è il modo in cui funziona il sistema oggi. La mia soluzione sarebbe quella di eliminare la corporation tax, così come quelle sui dividendi e il capital gain così come sono oggi. Ma mi rendo conto che il mondo non è pronto ad abbracciare una scelta del genere.