Attorno a The Pirate Bay molto si è detto, ma spesso e volentieri i discorsi affondavano in questioni di principio sulla reale gravità della pirateria, sui possibili risvolti positivi del P2P, sulle caratteristiche del protocollo BitTorrent, eccetera. Raramente si è potuto parlare della Baia dal punto di vista legale, quello che poi è invece il campo vero su cui The Pirate Bay deve combattere la propria battaglia. Trascinati in tribunale in Svezia, i quattro responsabili del motore di Torrent saranno presto chiamati alla sbarra anche in Italia, e di questo caso abbiamo potuto discutere con Giovanni Battista Gallus e Francesco Paolo Micozzi, avvocati di Peter Sunde sul suolo italiano.
Prima, però, un passo indietro. Tutto inizia con il processo svedese alla Baia, processo conclusosi in prima fase con una condanna: una multa da 2.7 milioni di euro ed una sentenza penale indicante un anno di detenzione per ognuno dei responsabili del sito (Peter Sunde, Fredrik Neij, Gottfrid Svartholm e Carl Lundström). Mentre il processo si avvia in appello, però, emerge un lato particolare: il giudice che ha firmato la sentenza sarebbe oltremodo sbilanciato nella propria posizione poiché partecipante ad attività di associazioni in difesa del copyright, e pertanto difficilmente compatibile con il caso specifico. L’annullamento del processo, pertanto, potrebbe passare per questa via alternativa, lasciando il merito del dibattito ad una seconda fase.
Nel frattempo il caso manifesta un proprio fronte anche in Italia, ed a ricordarne l’entità è direttamente la Federazione Industria Musicale Italiana. Nel festeggiare la sentenza di colpevolezza formulata in Svezia, infatti, la FIMI rilascia alcune specifiche considerazioni relativamente al caso italiano: «In Italia il sito thepiratebay.org è stato posto sotto sequestro dalla Procura di Bergamo, a seguito di un’operazione del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, nell’agosto del 2008. I quattro creatori e gestori del sito sono stati denunciati per violazione della vigente normativa in materia di diritto d’autore. Nell’ambito dell’operazione era stato anche ingiunto a tutti gli internet provider italiani di predisporre il blocco IP e DNS del sito svedese. Il provvedimento della procura, pienamente confermato dal Giudice per le Indagini Preliminari, è stato parzialmente revocato dal Tribunale del Riesame che, pur confermando in modo netto e deciso l’illiceità della condotta dei gestori di Pirate Bay, ha disposto la revoca del blocco IP e DNS per vizio di forma. Si attende ora la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione sul ricorso presentato dal Pubblico Ministero di Bergamo. A prescindere dall’attesa pronuncia della Suprema Corte di Cassazione thepiratebay.org, ai sensi della vigente normativa in materia di diritto d’autore, rimane un sito illegale e gli utenti che lo utilizzano per scaricare brani non autorizzati rischiano di incorrere nelle sanzioni previste dall’art. 174 ter (sanzione amministrativa pari a 154 euro) oppure dagli art 171 a-bis e 174 bis (multa fino a 2065 euro e sanzioni amministrative pari a 103 euro per ogni file illegalmente immesso in rete)».
A rischio il sito, a rischio gli utenti. Abbiamo pertanto rivolto alcune domande agli avvocati Gallus e Micozzi così che si possa far chiarezza su di un tema che, soprattutto dal punto di vista legale, appare oggi più che mai fumoso e complesso.
Su quali accuse verte il fronte italiano della sfida legale a Pirate Bay?
«Questo è il capo d’imputazione, ripreso dal decreto di sequestro:
“In ordine al reato previsto e punito dagli articoli 110 c.p. e 171 – ter, comma 2, lettera a bis), della Legge 22 aprile 1941 n. 633 pochi in concorso tra loro e con altri attualmente ignoti, in violazione dell’articolo 16 della suddetta logge ed a fini di lucro, comunicavano al pubblico opere dell’ingegno protette dai diritto di autore, in particolare file musicali; documenti di testo; riproduzioni digitali di pubblicazioni a stampa; audiolibri; immagini; opere cinematografiche a televisive; programmi informatici (secondo il dettagliato elenco dinamico, in costante aggiornamento, pubblicato sul sito medesimo, distinto per tipologie di file, reperibile a partire dall?indirizzo web http://thepiratebay.org/browse), immettendo le opere stesse sulla rete Internet attraverso il sito identificato dai seguenti nomi di dominio (tutti alias del medesimo sito):
- www.thepiratebay.org;
- www.angloamericanletting.com;
- www.piratebay.net;
- www.piratebay.org;
- www.thepiratebay.com;
- www.thepiratebay.net;
- www.thepiratebay.org.
fatto commesso adibendo il suddetto sito a torrent tracker e quindi rendendo disponibili, sulle corrisponderti “pagine web” codici alfanumerici complessi del tipo “torrent”, in grado di identificare univocamente i singoli file e di consentire, agi utenti registrati sul sito, di scambiare tra loro copie integrali o parziali dei file stessi; ravvisandosi il lucro negli introiti delle inserzioni pubblicitarie a pagamento inserite sul sito stesso, come pure nella tariffa – non inferiore ad Euro cinquemila – applicata agli utenti che accedono al sito in deroga alle politiche di utilizzo prescritte dagli amministratori.
Con l’aggravante di cui all’arr. 61 n. 7 c.p.., per aver cagionato ai detentori del diritto patrimoniale di autore sulle suddette opere un danno patrimoniale di rilevante gravità (essendo indici sintomatici della ritenuta gravità sia l’elevatissimo numero di opere dell’ingegno abusivamerne circolanti tramite il sito che il considerevole prezzo di mercato del software reso disponibile, comprensivo sia di sistemi operativi che di programmi informatici applicativi per uso professionale). Fatto commesso in luogo sconosciuto, in permanenza attuale”»
Precisa inoltre l’avv. Micozzi: «Il procedimento penale italiano si trova ancora in fase di indagini, ossia in quella fase in cui il pubblico ministero raccoglie le prove a carico (ma anche a discarico) dell’indagato e che si conclude nel momento in cui lo stesso pubblico ministero deciderà se rinviare a giudizio gli indagati, oppure chiedere al GIP l’archiviazione dell’intero procedimento. Ci troviamo, quindi, in una posizione meno avanzata di quella svedese, in cui, invece, si è giunti già ad una condanna nel merito. La vicenda della scorsa estate – non ancora conclusa – infatti, rappresenta unicamente una fase incidentale del procedimento e che riguarda esclusivamente il sequestro del sito internet e non la responsabilità o meno dei titolari di ThePirateBay. Il nostro unico obiettivo, in quel frangente, era di ottenere il dissequestro del sito, posto che il tribunale del riesame non avrebbe potuto dare alcun giudizio di responsabilità o meno nel merito della vicenda».
Qual’è la posizione del suo assistito, Peter Sunde, nel caso?
« Stando agli atti di indagine precedenti alla richiesta di sequestro, non è molto chiaro quale sia il ruolo di Sunde o degli altri, posto che nessuna indagine è stata svolta, al di là di quanto lamentato nella denunzia sporta dalla “Federazione contro la Pirateria Musicale”».
In tema P2P vige un vuoto legislativo che poco aiuta la giurisprudenza ad intraprendere decisioni omologhe le une alle altre. Come ritiene dovrebbe comportarsi il legislatore sul tema?
Risponde l’avv. Gallus: «Ritengo che non si possa parlare di vuoto legislativo, semmai di “affollamento”, o di “superproduzione” legislativa. Infatti, il campo del diritto d’autore è disseminato di sanzioni penali (e amministrative) severissime. Nell’ultimo decennio, il legislatore è intervenuto tantissime volte a modificare proprio la materia della tutela penale delle violazioni in tema di “proprietà” intellettuale, con l’effetto di rendere la disciplina complessa, farraginosa, disorganica e di difficile comprensione.
I reati contestati in questo caso sono quelli conseguenti alle modifiche operate dal c.d. “Decreto Urbani” (d.l. 22 marzo 2004, n. 72, convertito in L. 108/2004), che ha introdotto proprio le fattispecie legate alla abusiva comunicazione al pubblico attraverso immissione in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, di opere dell’ingegno. Tale modifica tendeva proprio alla criminalizzazione del p2p.
Il Legislatore dovrebbe dismettere le condotte schizofreniche e gli interventi emergenziali, introducendo sanzioni penali soltanto per le condotte più gravi e più dannose, poste in essere a fini imprenditoriali o commerciali, e non operando delle criminalizzazioni generalizzate di condotte che la collettività oramai percepisce come sostanzialmente non offensive di interessi primari.
In altre parole, la risposta alla “crisi” del diritto d’autore (o meglio alla flessione dei bilanci degli intermediari) non può passare attraverso una irrealizzabile repressione di condotte diffusissime, ma deve tener conto della mutata realtà. È il diritto a doversi adattare ai mutamenti sociali, e non viceversa».
Sulla stessa linea d’onda anche la prospettiva dell’avv. Micozzi: «È necessario, in un’ottica di più ampio respiro, rivedere a livello globale tutto il sistema di gestione dei diritti sulle opere dell’ingegno. Una rivisitazione che tenga conto della realtà dei fatti e dell’inadeguatezza di certi istituti ed istituzioni che vedono come un pericolo la novità degli strumenti offerti dalla rete».
Come giudica il processo svedese e cosa ne pensa del “conflitto di interesse” che potrebbe vanificare la prima sentenza?
«Non conosco approfonditamente la vicenda giudiziaria svedese, non potendo accedere direttamente agli atti (a causa della lingua). Di certo, si è cercato di irrogare una sanzione “esemplare”, forse diretta, più che a condotte concrete, all’ideologia professata (a partire dal nome del sito). Sul conflitto di interessi, effettivamente è curioso che a emettere il verdetto sia stato un giudice appartenente, a quanto si è letto su vari blog, alla Swedish Association for the Protection of Intellectual Property. Trattandosi di un caso così delicato (e comunque unico) sarebbe stato forse preferibile, per il giudice Norstrom, optare per un’astensione»
La giurisprudenza italiana ha dimostrato in passato di non saper ben “capire” la rete. Ritiene che la cosa possa danneggiare il suo assistito in una vicenda tanto delicata quanto quella della Baia?
L’avv. Gallus fotografa una situazione in divenire: «Accanto a decisioni ineccepibili, abbiamo assistito in Italia a tantissimi procedimenti assolutamente singolari: dai sequestri di mouse, cavetti e tappettini del BBS Crackdown del 1994, siamo passati al “sequestro che non è un sequestro”, in quanto effettuato mediante ordine di inibizione, come è successo per TPB. Avverto però una sempre maggiore consapevolezza dei giudicanti, con riguardo alla “nuove” tecnologie, e sono quindi convinto che le nostre argomentazioni difensive potranno essere ascoltate».
Secondo l’avv. Micozzi il problema è soprattutto a monte: «Probabilmente chi non ha ben capito la rete non è solo chi è chiamato a giudicare in un processo, ma anche chi è chiamato a legiferare. Molto spesso, soprattutto negli ultimi tempi, si è assistito ad un proliferare schizofrenico in materia di rete. Si pensi al DDL Carlucci, D’Alia o, ancora, Barbareschi. Uno degli errori più frequente è quello dar per scontato che le norme vigenti non possano trovare applicazione quando si tratti di internet o di “vita digitale”. Si pensi che nel caso del DDL Carlucci la prima firmataria riteneva che la diffamazione a mezzo internet non fosse punibile e fosse, per ciò, necessario un intervento con un DDL. Cosa ovviamente non corretta posto che il nostro codice penale prevede anche l’ipotesi in cui la diffamazione sia commessa a mezzo internet. Un altro degli errori più gravi in cui incorre il nostro legislatore è quello di non consultare gli esperti del settore giuridico e dell’informatica, al semplice fine – quantomeno – di essere resi edotti sulla “fattibilità” tecnica di ciò che il disegno di legge vuole prevedere. Porteremo avanti le ragioni di The Pirate Bay sino all’ultimo grado di giudizio confidando nell’aspettativa di incontrare magistrati che facciano scelte coraggiose nel rispetto della Legge».
In conclusione: «la situazione in Italia è presto detta: la decisione del Tribunale del riesame è stata impugnata dal Pubblico Ministero, ed è stata fissata l’udienza dinnanzi la Corte di Cassazione (per decidere soltanto sulla legittimità o meno del sequestro) per il 29/9 prossimo. Non possiamo prevedere se e quando si aprirà il dibattimento».