«Audizione del Viceministro per lo sviluppo economico, Paolo Romani, sulla politica per lo sviluppo della banda larga in Italia – Commissioni IX Trasporti e 8a Lavori pubblici, comunicazioni del Senato»: l’annuncio campeggiava sul sito della Camera dei Deputati ormai da giorni, promettendo una diretta che si è confermata di totale interesse. A prendere la parola, infatti, è stato anzitutto Francesco Caio, il quale ha spiegato le motivazioni di fondo che hanno retto il suo noto Rapporto sulla banda larga italiana. In seguito è stato il turno di Paolo Romani, il quale ha spiegato come il Governo abbia preso in esame tali indicazioni tramutandole in proposte concrete di intervento per un problema che ormai è sempre più urgente e gravoso.
Mario Valducci, Presidente della IX Commissione, introduce l’intervento ricordando il fermo impegno delle istituzioni per la diffusione della Banda Larga, riconoscendone il fondamentale ruolo per il futuro del paese e sottolineando pertanto l’importanza del momento per il futuro del settore (e non solo). La parola passa così a Francesco Caio, il quale può parlare pubblicamente del proprio rapporto distribuito contestualmente a titolo ufficiale ai giornalisti (i contenuti principali sono tuttavia trapelati già vari giorni or sono). Caio rompe il ghiaccio sottolineando come Internet sia ormai un elemento fondamentale anche per il nostro paese, ove oltre il 90% delle aziende accede a tale strumento e dove anche l’utenza privata ha ormai abbracciato i servizi ed i contenuti veicolati dal Web. Non c’è più scusante: il Web è parte integrante della quotidianità e la domanda è in costante crescita.
Francesco Caio spiega inoltre che «siamo in una fase di discontinuità delle telecomunicazioni, […] siamo tutti sulla linea di partenza»: con gli investimenti adeguati, pertanto, l’Italia può ancora paradossalmente ambire ad avere una posizione di leadership nel settore. Ma il rischio, al contrario, è invece quello di rimanere indietro e di perdere una enorme opportunità. Secondo Caio, infatti, ad inizio millennio l’Italia era all’avanguardia grazie soprattutto a Fastweb, ma oggi gli investimenti sono fermi ed il rischio è pertanto crescente. La domanda che il Rapporto pone è pertanto: il Governo deveo non deve rientrare negli investimenti per una nuova infrastruttura di rete nazionale? La risposta è implicita nella domanda, ma Caio va a svilupparne le motivazioni essenziali.
Francesco Caio durante l’audizione
Il consulente (attivo prima nel Regno Unito e quindi convocato dal Governo italiano) spiega che un grande passo avanti sarebbe quello di portare almeno 2 megabit a tutta la nazione, garantendo questa opportunità anche alla periferia del paese ove la densità della popolazione è bassa e la monetizzazione è minima. Una rete mista fisso/mobile potrebbe raggiungere lo scopo, il tutto con un investimento che va poco oltre il miliardo di euro. Con 2 megabit garantiti a tutti, il digital divide perderebbe parzialmente di significato, perchè la stragrande maggioranza dei servizi fondamentali del web sarebbe raggiungibile e fruibile. La rete in fibra sarebbe l’ossatura della Rete, le trasmissioni radio ne costituirebbero la naturale estensione verso le zone più difficili da raggiungere con scavi, tubi e cavi.
L’analisi passa quindi per una considerazione obbligata: difficilmente Telecom Italia investirà nella fibra poiché i ritorni sono di lungo periodo ed il debito del gruppo non permette alcun investimento di questo tipo (Telecom ha peraltro da poche ore confermato medesimo teorema, spiegando che gli investimenti potranno essere solo progressivi e solo ove la densità della popolazione permetta una immediata monetizzazione dell’utenza raccolta). Visto che né Telecom né la diretta concorrenza investono, sussiste il rischio concreto per cui senza un intervento pubblico l’Italia possa trovarsi rapidamente indietro rispetto alle necessità crescenti della popolazione. E tale crescita è dettata da tre elementi basilari:
- ogni unità pc sul territorio nazionale richiede nel tempo sempre più banda;
- la penetrazione dei pc nelle famiglie e nelle aziende è in aumento;
- l’accesso alla rete avviene non solo tramite il pc, ma sempre più tramite mezzi differenti per i quali l’assenza di specifica cultura informatica non costituisce più una barriera all’accesso.
Inevitabilmente, quindi, l’Italia deve prepararsi ad un forte aumento della richiesta di banda e le attuali infrastrutture non sono in grado di reggere l’ondata che sta per arrivare. Il fatto che ogni investimento nella Rete possa essere un volano per l’economia e l’occupazione, però, dovrebbe suggerire un intervento immediato e doppiamente vantaggioso. Non solo: un eventuale investimento pubblico nella rete «non dovrebbe essere visto come un investimento a fondo perduto, ma come un asset con ritorni entro tempistiche ampiamente compatibili con quelle che sono le logiche di intervento pubblico».
A questo punto giunge esplicita la risposta alla domanda preposta al Rapporto: il Governo, secondo Caio, deve investire nella banda larga. Il “come” è una questione che dovrà essere affrontata secondo le logiche della politica economica, ma l’intervento del Governo è dettato dal fatto che una rete di nuova generazione deve nascere sotto un profilo di monopolio naturale all’interno del quale gli investimenti statali vanno armonizzati con le necessità e le offerte che vengono dal mondo dei privati.
Al termine dell’intervento di Caio prende la parola Paolo Romani, e sarà il Viceministro per lo sviluppo economico a spiegare il “come” sul quale Francesco Caio ha lasciato in sospeso il discorso.
Il Rapporto Caio è stato presentato lo scorso Marzo. Da allora il Governo non lo ha semplicemente lasciato sulla scrivania di Scajola, come era stato indicato in precedenza, ma il tutto è stato vagliato per giungere alle proposte odierne. Una precisazione, anzitutto: parte del Rapporto non verrà resa pubblica poiché contenente dati sensibili relativi alle aziende coinvolte nell’analisi.
«Il 13% della popolazione non ha una connessione a internet o ha una banda insufficiente»: Romani non può che giudicare “grave” una situazione nella quale un italiano su 8 non può nemmeno accedere a quegli stessi servizi che è lo Stato stesso a promettere ai cittadini tramite le annunciate riforme della Pubblica Amministrazione e della digitalizzazione della carta nei rapporti con il privato. Si tratta quindi di un «ritardo preoccupante», solo parzialmente edulcorato dalla posizione di avanguardia che l’Italia da sempre riveste nel mobile.
La differenza tra spesa ed investimento, però, è nel fatto che «il rilancio economico del paese passa attraverso la rimodernizzazione dell’infrastruttura». La Rete, insomma, crea opportunità. Romani pone un distinguo immediato: gli interventi immediati guardano alle necessità del breve periodo, così da risolvere l’urgenza del digital divide. La promessa è pertanto quella di potenziare la copertura in quelle zone ove la banda arriva soltanto a 640 kbps (il riferimento ai famigerati miniDSLAM è tutto fuorché indiretto). In seguito si passerà alla seconda fase, quella che guarda ad una rete di nuova generazione basata interamente sulla fibra ottica ed in grado di portare la banda verso livelli simili a quelli «coreani».
Il progetto del Governo si basa dunque primariamente su fondi pubblici, i quali dovranno però stimolare paralleli investimenti privati. I finanziamenti ammontano anzitutto a 264 milioni di euro stanziati specificatamente per portare la rete (tramite Infratel) nelle zone colpite dal digital divide. Gli investimenti locali, infatti, non hanno sortito gli effetti auspicati ed ora serve una coordinazione nazionale. Altri 188 milioni di euro (94 comunitari e 94 della quota parte) andranno per le zone rurali digital divise in ossequio a quelle che sono state le raccomandazioni provenienti dall’Unione Europea. L’intervento privato dovrà essere il benvenuto, ma dovrà inserirsi organicamente all’interno del progetto che sarà lo Stato a formulare per l’intero paese.
La spesa per annullare il digital divide sarà di 1471 milioni. Secondo Romani occorrerà sostituire in buona parte la rete in rame con la rete in fibra ed occorrerà creare le opportune estensioni wireless (coinvolgenti circa il 3% della popolazione): il tutto consentirà entro la fine del 2012 di portare a tutti da 2 a 20 mega. Oltre 600 milioni andranno in infrastrutture, 89 milioni in progettazione e 50000 persone saranno complessivamente coinvolte nei lavori dei prossimi 4 anni (ingegneri, tecnici, impiegati). 33 mila interventi differenti verranno apportati nel quadriennio, con effetti positivi che andranno a ricadere anche in altri ambiti. Ogni euro speso genererà pertanto una crescita del PIL di 1.45 euro, il che configura un forte investimento a fronte di una spesa necessaria per il futuro dell’economia del paese.
La chiosa di Romani è ironica, ma significativa: «Non abbiamo dato i numeri, ma li abbiamo studiati». Il piano programmatico del Governo, insomma, è oltremodo chiaro. E l’impegno è stato preso pubblicamente.