Abbiamo smartphone e tablet che mediante l’impiego della crittografia proteggono i dati personali e sensibili degli utenti, hard disk in grado di mantenere segreti i documenti in essi contenuti, servizi di cloud storage a prova di occhi indiscreti, ma quando si parla di fotocamere (e videocamere), i file generati risultano essere liberamente accessibili da qualsiasi postazione: in genere sono semplici JPG o RAW.
È partendo da questa considerazione che oltre 150 tra giornalisti, fotografi e filmmaker professionisti hanno firmato una lettera inviata dalla Freedom of the Press Foundation ai principali produttori di macchine fotografiche, compresi Nikon e Canon. Ciò che si chiede è l’integrazione di una tecnologia in grado di rendere i contenuti illeggibili da persone diverse rispetto a chi li ha realizzati. In questo modo si garantirebbe la sicurezza di chi opera in qualità di reporter nelle zone calde del pianeta, dove i sequestri delle apparecchiature sono all’ordine del giorno, e di conseguenza la tutela della libertà d’informazione.
Noi, supportati da filmmaker e fotogiornalisti, scriviamo per spingere la vostra azienda a integrare funzionalità di crittografia nei prodotti che realizzano immagini e video. Queste caratteristiche, che al momento sono assenti dalla totalità dei dispositivi sul mercato, sono necessari per proteggere la nostra sicurezza, così come quella delle nostre fonti e dei soggetti ripresi in tutto il mondo.
Chiunque entri in possesso di una scheda di memoria estratta da una videocamera può aprirla semplicemente inserendola in un lettore, accedendo istantaneamente a tutte le immagini e ai filmati in essa salvati. Questo può costituire un potenziale problema per chi, ad esempio, opera per portare alla luce crimini o ingiustizie in giro per il mondo, poiché non sempre è possibile trasferire immediatamente il materiale su dischi esterni dopo averlo registrato.
Tra i firmatari della lettera anche Laura Poitras, premio Oscar per il documentario “Citizenfour” che nel 2013 ha raccolto la testimonianza di Edward Snowden su quello che sarebbe poi diventato lo scandalo della NSA. Lei stessa racconta che, dopo aver effettuato le riprese, era costretta a riversare tutto di corsa in dischi protetti da crittografia, allontanandosi poi per distruggere fisicamente le memory card.