Una delle manifestazioni più importanti del paese, il Festival Internazionale del Giornalismo, cambia completamente le modalità di raccolta del budget affidandosi alla Rete per la raccolta fondi. Una notizia che non riguarda soltanto il settore, importantissimo, dell’informazione, ma rappresenta il progetto di crowdfunding più ambizioso mai realizzato in una piattaforma culturale, basato sulla rete sociale creata in questi anni dagli organizzatori dell’evento, su tutti coloro che vi hanno partecipato.
Il post dello scorso 17 ottobre firmato da Arianna Ciccone e Chris Potter, i fautori del Festival del Giornalismo, intitolato «Stop at the top» aveva sconcertato la blogosfera. Su Twitter era subito diventato trend topic, sui social si scatenavano le reazioni e già qualche proposta alternativa. Dai commenti a caldo fino alla drammatica conferenza stampa si erano alzate le voci di chi non poteva accettare la fine di una manifestazione che era riuscita a porre i riflettori delle migliori e più stimolanti firme dell’informazione per qualche giorno in un Paese che – a dirla tutta – non è mai stato neppure tra i primi 30 nella classifica di Freedom House.
Festival Internazionale del Giornalismo: stop at the top | @_arianna http://t.co/L41Zi0nxQR via @journalismfest
— journalism festival (@journalismfest) October 17, 2013
Ad averli convinti a riprovarci, nonostante le difficoltà politiche in senso lato e di conseguenza finanziarie, è stata proprio l’intuizione del crowdfunding: compensare la rinuncia ai soldi pubblici con le donazioni, anche piccole, dei sostenitori privati. Mantenendo ovviamente l’impegno dei grandi sponsor che storicamente hanno sempre appoggiato la manifestazione:
La nostra ambizione è sempre stata salvaguardare lo spirito aperto e partecipativo della manifestazione: le difficoltà incontrate, a fronte dei successi, ci avevano indotto a prenderci un anno di riflessione. Ma poche ore dopo l’annuncio, la reazione di una comunità incredibilmente forte e vasta, composta in primo luogo da chi ha animato il Festival in questi anni, ci ha spinto ad accettare la sfida: una campagna di crowdfunding, di contributi libera, aperta a chi vuole che ci sia anche l’edizione 2014 (a Perugia, dal 30 aprile al 4 maggio).
Come funziona il crowdfunding
Commossa fino alle lacrime, il 2 novembre sempre da Perugia, Arianna Ciccone ha annunciato che il festival si farà, sarà ancora completamente free (occasione anche di formazione per tanti giovani free lance che non possono permettersi master e corsi) e punterà sul crowdfunding. La sezione speciale si trova all’indirizzo crowdfunding.festivaldelgiornalismo.com ed è stata sviluppata da Starteed, una startup tutta italiana, selezionata nell’ultimo programma di accelerazione d’impresa Working Capital di Telecom Italia, che si occupa proprio di sviluppare queste piattaforme. Chiara Spinelli ha dato il suo contributo per instradare gli organizzatori, a digiuno di questo tipo particolare di raccolta fondi.
https://twitter.com/ChiaraPeggy/status/396583125209194496
La piattaforma è molto semplice: utilizzando la propria carta di credito, si apre un conto paypal e si può donare una cifra uguale o superiore ai 10 euro, venendo ricompensati con un badge “Donor” dell’edizione 2014. È prevista anche la figura di sostenitore, in caso di offerta di mille o più euro, che garantisce il proprio logo sul press kit e sulla pubblicità del festival. Il sistema, in caso si sia loggati al sito, riproduce l’elenco dei sostenitori con la cifra corrispondente. Per la massima trasparenza e anche per aggregare il vero tesoro di questo festival: la community.
Al momento, sono stati raccolti più di 7.000 euro da 170 supporter e mancano 88 giorni alla chiusura della call, programmata a centomila euro.
Cosa cambia il crowdfunding
Queste modalità crowd si stanno sviluppando da qualche tempo anche in Italia, un fermento che ha trovato una sponda anche nelle startup, con il regolamento Consob e i primi portali di equity. Nel caso di #IJF14, però, si è in un ambito più semplificato, perché scevro da interessi puramente economici. Si tratta sostanzialmente di un reward crowdfunding nel quale il contributore dona una cifra di certo non per il piccolo badge personalizzato, ma allo scopo di partecipare materialmente a una propria soddisfazione intellettuale. Può sembrare anacronistico, utopistico, invece i dati mostrano il contrario: quando c’è una forte adesione, una stima collettiva nei confronti di un evento culturale al quale si è partecipato, molti cittadini sono disposti a dare il proprio libero contributo.
Per gli organizzatori si tratta sicuramente di una svolta. Il festival sarà completamente privato, tra main sponsor e donazioni crowd, e non sarà più sostenuto dalle istituzioni (peraltro nient’affatto condannabile che prima lo sia stato: tant’è che se si fosse trasferito in un’altra città gli organizzatori avrebbe accettato contributi pubblici), che possono essere sia un peso, ma anche un forte driver per la raccolta pubblicitaria e l’accoglienza generale di un evento in un territorio. Ancorare un modello di business di una manifestazione molto ricca, dal budget + indotto a sei zeri, alla propria community e alla Rete è un tentativo da tenere sotto osservazione. La sfida riguarda davvero tutti.