«Mentre il bullismo è un fenomeno degli adolescenti, il cyberbullismo non può avere un limite di età». Basta questa frase – strepitosamente grossolana – pronunciata dal relatore di maggioranza Paolo Beni per capire quale muro di incomprensione ancora esiste nell’ambito della discussione su questa legge, che domani tornerà all’ordine del giorno. Si comincia dall’articolo 2, dopo l’approvazione del primo, opportunamente emendato.
Le Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo (qui le schede di lettura del servizio studi della Camera) hanno fatto discutere un intero Paese la scorsa settimana quando la politica si è intrecciata alla cronaca: in breve tempo, una legge che aveva già subito uno strano blitz estivo che l’aveva trasformata in un testo generico sull’hate speech, è diventata una urgenza spinta anche dai mass media che hanno contribuito a banalizzare la questione e a confondere tutto. Il risultato è stata una discussione, giovedì scorso, che è parsa occuparsi più di come evitare o approvare qualcosa che ormai riguarda soltanto la percezione della pericolosità di Internet.
La semplificazione del primo articolo
Il frutto del primo round di discussione è stata la semplificazione del primo articolo, sul quale, grazie in particolare al contributo del deputato Vittorio Ferraresi (Movimento Cinquestelle), relatore di minoranza, si è arrivati quantomeno a levare di torno i cascami della diffamazione, togliendo la citazione di “offesa all’onore e reputazione” e cercando una migliore definizione dell’oggetto. Tuttavia, tra una parola e l’altra, una limatura e una conferma, resta il problema centrale: le due coperture – politica ed economica – che vanno date al Garante della privacy. In uno dei suoi interventi, il deputato ha spiegato l’opposizione in sé al provvedimento, dopo che i cinquestelle avevano contribuito in Senato.
Noi crediamo che questo tipo di provvedimento, che è l’oscuramento deciso da un Garante per la privacy che ha risorse limitate, uomini limitati, e soprattutto non è un giudice, sia un grosso errore, non solo dal punto di vista di sostenibilità economica, ma anche dal punto di vista di merito politico. (…) Stiamo dando in maniera del tutto discrezionale al Garante per la privacy, che non è un giudice – perché in questo momento è l’autorità giudiziaria che svolge compiti di un certo tipo – la discrezionalità di scegliere se, successivamente alle modifiche che verranno apportate, un’offesa semplice o una derisione semplice siano astrattamente idonee – perché così sarà scritto successivamente – a portare una persona in stato d’ansia o un qualunque timore espresso dalla norma.
Il prossimo round, il 20 settembre alla Camera, è legato alle risorse per il Garante. La legge, ormai, è diventata un pasticcio non più orientato a difendere i minori “da sé stessi”, puntando sull’educazione, ma a regolare in qualche modo tutte le espressioni di odio online secondo il concetto che possono uccidere qualcuno. Per soddisfare questo scopo, però, la maggioranza ha fatto un gioco di prestigio: ha eliminato tutti i subemendamenti che puntavano a cercare risorse per il Garante e ha proposto un testo, il 2.100, che di fatto scarica sull’utente l’onere della segnalazione. Fulvio Sarzana, avvocato ed esperto di questi temi, che ha più volte commentato l’iter del disegno di legge, intervenendo anche in audizione, è molto duro su quanto visto la scorsa settimana:
La cosa incredibile è che tutto è nato per intervenire sul cyberbullismo, poi il 27 luglio hanno ficcato delle modifiche estensive che ne hanno cambiato la natura, dopodiché hanno tentato di accelerare usando un tragico fatto di cronaca, e il risultato qual è? Che dall’articolo sono scomparsi i video sessuali, che la legge non può intervenire sui siti che hanno sede all’estero, cioè esattamente quanto accaduto e ciò di cui si è parlato per giorni. Questa legge si occuperà soltanto di siti italiani, blog, testate giornalistiche. Durante la discussione si è cercato di seguire Ferraresi e i Cinquestelle, che hanno fatto un buon lavoro, sul primo articolo, mentre Quintarelli ha condotto il dibattito sulle rimozioni.
Approvato a @Montecitorio con modiche l'art 1 #cyberbullismo ma si rinvia a martedì esame art 2 la maggioranza teme la debacle evidentemente
— Fulvio Sarzana (@fulviosarzana) September 15, 2016
Il nodo del Bilancio
Perché l’emendamento Quintarelli ha messo in difficoltà l’aula e anche il rappresentante del governo ha preferito sospendere la discussione? La ragione è che Quintarelli ha individuato con precisione il nodo più pericoloso: attualmente, se la legge fosse approvata con l’ultimo emendamento della Commissione Bilancio, il procedimento sarebbe il seguente: un utente ritiene che un contenuto in un sito lo metta in stato di agitazione, lo turba, chiede al sito la rimozione, il gestore ha 24 ore per un feedback e 48 ore per rimuovere. In caso contrario ci pensa il Garante (come, non si sa) e il gestore rischia una multa fino a 180 mila euro. L’emendamento Quintarelli che si discuterà neutralizza la multa immediata e apre un ricorso civile tra le parti, riportando tutto nell’alveo giudiziario e trovando così una soluzione che non rappresenta particolari oneri da garantire all’Authority.
Colpo di scena: parere accantonato anche su emendamento @quinta: la discussione su #cyberbullismo riprende a @Montecitorio martedì.
— Marco Viviani (@VivianiMarco) September 15, 2016
La maggioranza parlamentare del PD sostiene che il Garante non avrà superlavoro, e ha dato 220 mila euro in più alla Polizia Postale. Quintarelli, preoccupato per le multe facili, aggiunge un pezzo tra la segnalazione e la decisione di rimozione togliendola di mano, visto che l’Autorità obiettivamente non ha risorse umane per un lavoro del genere. Sempre ammesso che ne abbia il diritto, e anche su questo le sorprese in futuro potrebbero non mancare.
Una legge che non piace a nessuno
Se non ci avete capito niente non preoccupatevi: ormai il pasticcio combinato in commissione in estate su questa legge è degna della peggior letteratura casistica del rumore dei nemici. Questa legge non ha alcuna ratio: non si concentra sui minori, non cita gli errori tipici che scatenano la gogna mediatica, non può colpire le piattaforme come Facebook, Whatsapp, YouTube (perché la legge è ancorata a quella europea sull’ecommerce), si inventa un compito per il Garante che non ha mai avuto (rimuovere invece di deindicizzare) ed evita che la giustizia faccia il suo corso rispettando le leggi già esistenti, mettendo ansia ai gestori dei siti con una multa assurda che distruggerebbe il 99% dei blogger. In pratica non piace a nessuno. L’attivista Cory Doctorow l’ha definita «la più stupida legge di censura d’Europa». Insomma una brutta pubblicità per il Parlamento Italiano.
Ehm Commissione Internet? @quinta @coppolapaolo @antoniopalmieri @DiegoDeLorenzis @GiovanniPaglia @gennaromigliore https://t.co/G7lOiLv4As
— Anna Masera (@annamasera) September 18, 2016
Italy on the verge of the stupidest censorship law in European historyhttps://t.co/O4GJgFUvKO pic.twitter.com/yUYk7V4sWZ
— Cory Doctorow NONCONSENSUAL BLUE TICK (@doctorow) September 18, 2016
Qualunque cosa accada con la prossima discussione, però, è difficile che si rinunci ad approvarla, ad andare in fondo. Ci sono solo tre vie per sperare in qualcosa di meglio:
- L’approvazione di alcuni emendamenti – come quello di Stefano Quintarelli – che neutralizzi il pericolo concreto di multe salate senza il ricorso a una causa civile.
- L’intervento del Governo, risolutivo, con un maxi emendamento che cancelli questo obbrobrio.
- La reazione della senatrice Ferrara, prima firmataria e anima della legge, e del Senato, che in barba alla tradizione ridiscuta e modifichi il testo nonostante arrivi dalla Camera in seconda lettura.
Quest’ultima opzione è piuttosto rara, tuttavia non essendoci tempi stretti di approvazione – è un disegno di legge di via parlamentare, non un decreto da convertire – è possibile. In tal caso, la legge dovrebbe poi tornare di nuovo alla Camera. Sempre sperando che stavolta a nessuno venga in mente di rimetterci quei pezzi di leggi su diffamazione online e hate speech che sono stati inopinatamente inseriti per obiettivi molto diversi dagli intenti originali.