Quando vediamo nella camera di un ragazzo Neuromante sappiamo che dobbiamo preoccuparci. Così disse qualche anno fa un poliziotto italiano specializzato in reati informatici. Forse, nella sua semplicità, il più concreto omaggio all’hacking e alla letteratura cyberpunk che avrebbe potuto fare, riunendo tanti anni dopo ciò che in realtà per molto tempo è stato separato. La storia del World Wide Web, infatti, ha un prologo letterario, di cultura underground poi diventata pop, più vecchio di almeno dieci anni.
L’aspetto eccezionale del cyberpunk, i cui autori simbolo sono William Gibson e Bruce Sterling, è che ha anticipato molti temi dell’era della Rete solo con la forza della fantasia e alimentandosi da radici culturali che nulla avevano a che vedere con il mondo dei computer, come la cultura hippy, il lavoro di Marshall McLuhan e la sua Galassia Gutemberg e naturalmente i racconti di James Ballard e le distopie di Philiph Dick, padre putativo del genere. E forse, ancora più indietro, Brave New World di Aldous Huxley (1933).
I primi hacker conoscevano a malapena il cyberpunk, che trovavano (sublime paradosso), altrettanto “vago ma intrigante” quanto sarebbe stato valutato qualche anno dopo il leggendario documento di Tim Berners Lee: troppe imprecisioni tecniche, troppo pessimismo sulle possibilità della tecnologia, troppo romanticismo gotico spalmato a quintali in quelle pagine per convincere appieno chi credeva fortemente nel potenziale liberatorio dell’information technology.
D’altronde il più letto e apprezzato scrittore cyberpunk, Gibson, autore della fondamentale trilogia dello Sprawl era notoriamente digiuno di conoscenza informatica. I giovani Bill Gates e Steve Jobs hanno letto questi romanzi quando entrambi, informatici e scrittori, erano diventati famosi (nel primo romanzo di Gibson viene citato il termine Microsoft, ma Gibson ha sempre detto si tratta di una casualità), e Sir Berners-Lee non ne ha mai aperto uno prima che gli venisse in mente il web. Per non parlare degli inizi di questo stile letterario, diffuso su riviste underground, fumetti, e piccole case editrici.
Un futuro malamente distribuito
Parafrasando Gibson, «il futuro era già lì, ma non era uniformemente distribuito». In tutto il decennio precedente alla nascita della tripla W che ha cambiato il mondo, è stata prodotta una letteratura che ancora oggi sorprende per la sua capacità di anticipare i temi della Rete (mai chiamata con quel nome: in quei romanzi era “matrice”, sappiamo poi come se ne sono genialmente impossessati i fratelli Wachowski): nella letteratura cyberpunk trovavano posto i temi della sorveglianza globale, in un mondo, lo sprawl, dove l’ibridazione uomo-macchina apriva interrogativi pragmatici sulla sicurezza ma anche problemi esistenziali più complessi e alti, fino a porsi la domanda su cosa sia effettivamente una coscienza individuale dentro una rete iperconnessa. Alcuni romanzieri di fantascienza si chiedevano cosa avrebbe comportato una rete di miliardi di processori collegati da dispositivi che ogni persona poteva portare in tasca. Sembrava soltanto fantascienza, oggi invece è cronaca.
Il web ha sostituito la fantasia
Il destino di questa letteratura di scenari futuribili, come capita sempre, è stato quello di concludersi nel momento esatto in cui si è realizzata. Oggi Gibson preferisce scrivere romanzi (peraltro spesso molto belli) ambientati al tempo presente, oppure in un futuro non molto lontano e non molto diverso dalla società di oggi, come ha fatto la splendida sceneggiatura di Spike Jonze, che con ““Her” ha vinto l’Oscar immaginando come ci si possa innamorare di un sistema operativo.
Per questo, per omaggiare in una giornata speciale come oggi il primo quarto di secolo del web, soprattutto per i nativi digitali, le nuove generazioni, potrebbe essere una buona idea aprire Neuromante, Mirroshades, La matrice spezzata, magari in ebook, guardare un film geniale e sconosciuto come Il mondo sul filo di Fassbinder, chiedere ai genitori se hanno conservato quei loro fumetti anni Ottanta: con un po’ di fortuna, potrebbe esserci anche “Ranxerox”, disegnato da Andrea Pazienza.